Favole gender, i dubbi dei genitori davanti alla scuola

Mentre molte mamme preferiscono non esporsi, una maestra critica la madre che ha ritirato la figlia.

TIMORE Un gruppo di mamme (con un papà) davanti all’ingresso della scuola. Hanno parlato ma non vogliono farsi riconoscere

TIMORE Un gruppo di mamme (con un papà) davanti all’ingresso della scuola. Hanno parlato ma non vogliono farsi riconoscere

Massa, 29 ottobre 2015 - «NON faccia il mio nome, deve parlare con la preside»; «Niente foto, non voglio ripercussioni su mia figlia». Sono le 13 (di ieri) e all’uscita della scuola elementare di via Casamicciola, a Marina di Massa, la storia della «favola gender» è uno degli argomenti più discussi. Se ne parla su Fb e ci sono gli articoli sui giornali. La mamma che ha portato via la bimba dalla scuola per protesta è conosciuta. Ma le altre mamme e i papà non vogliono esporsi. Compresi i genitori dei bimbi che frequentano la seconda, ai quali è rivolto il progetto Liber* Tutt*, che costa ai contribuenti ben 78mila euro (quelli spesi a Massa dalla Regione Toscana).

«IL PROGETTO è della Regione e della Provincia e ci sono di mezzo dei soldi – dice Stefania – quindi non lo ferma nessuno. A scuola devono insegnare italiano e matematica, al resto ci penso io ma non metta il mio nome». L’unico coraggioso ad esporsi è Nicola De Simone, un nonno in attesa del nipote. «E’ una cosa soggettiva ma penso che a scuola debbano insegnare le materie, fare didattica. Poi certo uno può pensarla come vuole». Ma se il nonno ci mette la faccia, le mamme sono più prudenti. Solo quando garantisci l’anonimato, Monica, Serena, due mamme di nome Francesca e altre signore, più un papà, accettano di dire qualcosa. C’è chi ironizza: «Ora parlano di queste cose anche al Grande Fratello, forse la Provincia vuol fare lo stesso...», c’è chi ha dubbi sull’età «sono troppo piccoli per questa roba» e chi fa due conti «non hanno tempo per fare matematica e insegnano queste cose. E se avevano soldi da spendere, perchè non mettono la pensilina? E da anni che la chiediamo, i bimbi si bagnano». Qualcuno lamenta la mancata consultazione: «Parlano tanto di partecipazione ma nessuno ha detto niente ai genitori. Voglio parlarne con la rappresentante di classe». Anche Monica, che appare la più favorevole al progetto, ha qualche dubbio. «E’ giusto parlare di certe cose per combattere l’omofobia ma il progetto deve essere presentato meglio. Bisognerebbe sapere cosa dicono ai bambini».

A SCUOLA a seguire il progetto è la maestra Paola, vicecoordinatrice del plesso. E’ gentile ma decisa. Non vuol parlare con la stampa «dovete andare dalla preside» poi però, pressata dal giornalista, pur di allontanarlo sbotta «su questo progetto sono state dette troppe falsità. Ho parlato con quella mamma, ma sbaglia. Non capisce. E su fb girano tante bugie. Il progetto è stato spiegato bene dalla responsabile della Provincia martedì sera in tv». Inutile chiedere altre notizie o, peggio, commenti alla coordinatrice del plesso e alle altre maestre. Sono gentili ma fanno muro. L’unica notizia che filtra è che lo scorso anno la scuola aveva aderito ad un progetto simile se non uguale. Ma senza ottenere il via libera. Particolare interessante. Partecipare al progetto Liber* Tutt* non è obbligatorio. E sono bastate alcune telefonate a questo o quel docente per scoprire che ci sono scuole della provincia apuana dove non ne ha nemmeno sentito parlare.

ANDREA LUPARIA