Morto sulla nave, militari senza colpa. Nei guai solo i responsabili di cantiere

Il gip: «La sicurezza non compete a comandante e direttore di macchina»

Il fratello della vittima

Il fratello della vittima

La Spezia, 2 luglio 2017 - NESSUNA responsabilità diretta nell’organizzazione degli interventi a garanzia della sicurezza nell’area-cantiere di lavoro sulla nave. L’argomentazione sviluppata dall’avvocato Pierpaolo Tiepidino a puntualizzazione del ruolo del comandante e del direttore di macchina della fregata multimissione Margottini, all’epoca dei lavori di fine garanzia nello stabilimento Fincantieri del Muggiano, ha convinto il gip Marta Perazzo; la dottoressa ha rigettato l’opposizione alla richiesta di archiviazione della posizione del capitano di vascello Pasquale Esposito e del capitano di fregata Francesco Greco, indagati per l’incidente mortale avvenuto a bordo il 5 maggio 2015, opposizione presentata dai familiari della vittima.

I MILITARI, dunque, non hanno colpa alcuna nella morte dell’operaio Luciano Stiffi, 43 anni di Ameglia, stroncato da un colpo di frusta di un tubo dell’impianto ad aria compressa, sotto pressione, attorno al quale stava lavorando, a bordo della Fremm. All’epoca la nave, pur nella disponibilità della Marina, era ancora in ’carico’ a Fincantieri, per gli interventi di fine garanzia e gli stessi, sul piano delle norme a presidio della prevenzione degli incidenti e della sicurezza sui luoghi di lavori, chiamavano in causa la responsabilità dello stabilimento e delle ditte dell’indotto, alla luce della legge speciale in materia di manutenzione, riparazione e trasformazione delle navi in ambito portuale risalente al 1999. Sul punto pende infatti la richiesta di rinvio a giudizio di Pierpaolo Putrino (responsabile tecnico di Fincantieri per i lavori di fine garanzia sulla fregata), Stefano Orlando (direttore della stabilimento e capo-commessa), Andrea Castagno (dirigente post-vendita di Fincantieri), Maurizio Avella e Rosa Pennacchio (rispettivamente responsabile tecnico e legale rappresentante della Teknilavori, ditta per la quale lavorava Staffi), Salvatore Calabiscetta (legale rappresentante della ditta a cui è attribuibile un errore di montaggio dell’impianto che si è rivelato concausa della tragedia).

L’OPERAIO, impegnato nella rimozione di un compressore per migliorarne il raffreddamento, all’atto di sconnettere un tubo dal circuito, fu colpito dallo stesso. Forse credeva che l’impianto in quel punto fosse isolato. Di sicuro, con una chiave pappagallo, si mise a sconnettere un raccordo; ma bastò un mezzo giro di chiave per innescare la fuoriuscita, violentissima, del getto di aria compressa, che provocò il colpo di frusta del tubo, con effetti letali sul cranio dell’operaio. Colpa di un giunto cosiddetto ad anello tagliente montato non correttamente, ossìa al contrario, come emerso dalla perizia svolta dall’ingegner Pilade Fiorini, consulente del pm, alla quale si è saldata la consulenza svolta dall’ingegner Dino Nascetti su mandato dei militari che, assistiti dall’avvocato Tiepidino, vedono certificata la tenuta della tesi difensiva.