Chi ha preso i soldi di Banca Etruria. Ecco le sofferenze multimilionarie

Ma un ex membro del Cda giura: mai finanziamenti alla politica / BERTOLA: "DECRETO FRETTOLOSO. HA PESATO L'EUROPA"

  Matteo Salvini parla davanti alla sede storica di Banca Etruria

Matteo Salvini parla davanti alla sede storica di Banca Etruria

Arezzo, 11 dicembre 2015 - «A CHI HA DATO i soldi la Banca dell’Etruria? Fuori i nomi». Matteo Salvini, il leader della Lega, lo chiede perentoriamente fuori dalla sede storica di Corso Italia, nel corso del presidio organizzato dai suoi. Lui dice che non vorrebbe ci fosse qualche partito di mezzo. Bene, ma chi ha preso davvero i soldi di Bpel? Non i prestiti restituiti, ovviamente, che fanno parte della normale attività bancaria, ma i crediti deteriorati, quelli che sono finiti in sofferenza o in incaglio e il cui ammontare totale (due miliardi e 700 milioni) ha finito per affossare via Calamandrei? La Nazione, già in passato, aveva riferito di alcune dei peggiori affari di Banca Etruria, quelli che si sono trasformati in una pietra al collo dell’annegato, cifre multimilionarie. Proviamo a ricapitolare.

Tra le grandi sofferenze c’è, ad esempio, il finanziamento dei lavori di ristrutturazione del porto di Imperia, classica tipologia del tipo di fido cui adesso il nuovo amministratore delegato Roberto Bertola vorrebbe rinunciare, perchè sono da banca corporate e non del territorio, come dice lui, cioè fuori dalla zona di diffusione dell’istituto. Nel ginepraio di Imperia Bpel ci ha rimesso una ventina di milioni, la quota con la quale la banca aretina partecipava a un consorzio di cui facevano parte i veri giganti del credito, da Bnl a Unicredit, da Carige a Efibanca. Destinatario del finanziamento la società Acquamarcia del gruppo Caltagirone, i cui cantieri sono naufragati in un mare di carta bollata e di processi, conclusi dall’assoluzione dell’imprenditore romano.

E ANCORA, tra i venti e i trenta milioni se ne sono andati nel credito, che un anno fa figurava in presofferenza, per la costruzione di un mega-yacht, il più grande del mondo, destinato teoricamente a qualche sceicco (ma nessuno lo ha mai comprato), tutt’ora in corso nel porto di Civitavecchia. In quel caso Bpel era addirittura capofila di un consorzio creditizio di cui facevano parte Unicredit, Mps e la consorella di sventure Banca Marche.

Ci sono poi le disgrazie che a Banca Etruria sono venute direttamente dai prestiti alle aziende del territorio finite nel gorgo della crisi. Del Tongo ne ha avuti per una trentina di milioni, la vecchia UnoAerre per quasi venti, la Mabo, anch’essa sprofondata, per una decina, idem dicasi per Cantarelli, le cui ultime vicende, sfociate nell’amministrazione straordinaria, sono ben note. Nell’elenco, per cifre un po’ più basse ma comunque multimilionarie, la Municchi cucine e il gruppo Mancini, ovvero la galassa Ciet, anch’essa schiantata dalla bufera.

UN CASO A PARTE è quello della Eda, società romana che gestiva il sistema di comunicazione di molte articolazioni essenziali dello stato, dalle forze di polizia ai ministri. Per un periodo, prima del fallimento nel 2007, è stata di proprietà dei Landi, a Banca Etruria è costata un credito deteriorato di diciotto milioni.

Altra questione scottante è quella dei fidi per 185 milioni che nel tempo sarebbero stati concessi ad ex amministratori (13) ed ex sindaci della banca (5). Ne sarebbero stati utilizzati 140, con sofferenze che, secondo il Sole 24 Ore, sono arrivate a novanta. In modo più parco, la relazione con cui Bankitalia chiede il commissariamento parla di 18 milioni di perdite. Un solo nome di ex consigliere (Luciano Nataloni) è accompagnato da una cifra (5,6 milioni al Td Group). Nel verbale si parla anche dell’ex presidente Lorenzo Rosi, già numero uno della coop Caastelnuovese, in relazione a un finanziamento in sofferenza all’outlet abruzzese Città Sant’Angelo. Ambienti a lui vicini hanno spiegato in passato che la mancata restituzione si doveva alla coop Unieco di Reggio Emilia, lì socia della Castelnuovese, finita in amministrazione controllata.

E i partiti di cui parla Salvini? «Non abbiamo mai concesso prestiti nè a partiti nè ad associazioni loro vicine», giura un ex membro del Cda.

Salvatore Mannino