
Un’inchiesta pionieristica in Italia "L’accusa ha retto fino in fondo"
di Daniele Mannocchi
Quattordici anni dopo, le famiglie delle 32 vittime sono ancora in attesa di giustizia. L’ultimo atto di un iter infinito, complicato, talvolta difficile da metabolizzare, si materializzerà alla fine di novembre, quando il processo per il disastro ferroviario del 29 giugno 2009 tornerà in Cassazione. Nel frattempo, di strada ne è stata fatta parecchia. E a prescidendere dal risultato, l’esperienza di Viareggio andrà agli archivi come un momento rivoluzionario. Ieri, al cinema Centrale, gli avvocati di parte civile Gabriele Dalle Luche, Riccardo Carloni e Tiziano Nicoletti, assieme all’ex pm (ora in pensione) Giuseppe Amodeo, hanno ricostruito i momenti salienti di un processo in cui, per la prima volta, una piccola procura di provincia è riuscita a infilare un puntello tra gli oliati ingranaggi del sistema delle ferrovie.
"Brancolavamo nel buio..."
L’incipit è toccato all’ex pm Amodeo, il primo magistrato a metter mano alle indagini. "Non sapevamo cosa fare, non c’erano precedenti – racconta –; per fortuna avevamo con noi Paolo Toni, consulente tecnico di altissimo livello. Ricostruire quel che era successo ha richiesto tutto il nostro impegno: quel che non andava nel sistema di manutenzione andava tradotto in un’accusa che fosse fondata e potesse durare. È stato un lavoro immane: alla fine, il fascicolo contava 300mila pagine. Ma i capi di imputazione hanno retto: un’indagine pionieristica in Italia, e forse nel mondo, e uno dei pochi casi di disastri pubblici che ha portato all’individuazione certa di 13 responsabili. Un grado di giudizio dopo l’altro, l’indagine è rimasta sostanzialmente in piedi, e la stessa Cassazione l’8 gennaio 2021 ha confermato l’omicidio colposo plurimo, pur dichiarandolo prescritto. La bontà dell’impianto accusatorio è arrivata al terzo grado di giudizio".
"Potere significa responsabilità"
All’incontro è intervenuto anche il consulente Paolo Toni. Ha raccontato che, in Italia, gli incidenti ferroviari che hanno fatto scuola sono quattro: in tre casi, dirigenti e vertici delle ferrovie sono stati scagionati e le responsabilità sono state scaricate sui macchinisti. Solo a Viareggio i vertici delle ferrovie sono stati condannati. "A Lucca siamo stati in grado di affermare la responsabilità dell’ingegner Moretti – ha ricostruito Carloni –, amministratore di Rfi fino al 25 settembre 2006 e della capogruppo dall’aprile del 2007. È stato posto il problema della continuità della responsabilità: le mancanze, in termini di sicurezza, si sono perpetrate nel tempo, e quindi ne deve rispondere chi poteva valutare il rischio e porre rimedio. La sentenza della Cassazione ha scritto una parola assolutamente confermativa su una giurisprudenza innovativa e temuta dai settori dell’imprenditoria meno ’matura’: a prescindere dall’organizzazione delle imprese, bisogna sempre domandarci chi comanda. Nelle ferrovie era riconoscibile un leader, anche dal punto di vista organizzativo. La questione è rivoluzionaria: significa che chi vuole essere responsabile delle scelte di fondo sull’attività imprenditoriale, anche nel caso di società controllare, se ne deve assumere la responsabilità". La questione non è secondaria: "La difesa si è sempre concentrata sull’asile rotto – ha aggiunto Dalle Luche – e sulla responsabilità dell’operaio tedesco. Ma la sentenza ci dice che esisteva un sistema non sicuro e che non funzionava per precise scelte aziendali. Non dotarsi di una flotta di carri, non investire sulla sicurezza a vantaggio del profitto, con la spesa scesa da 100 a 18 milioni... tutto sta a significare che la responsabilità deriva da scelte dell’alta amministrazione".
"È ora di controllare..."
Cosa viaggiava sulle nostre rotaie? "Ferri vecchi – ha ricordato Nicoletti – e lo dimostra il carteggio in cui, dopo il disastro, Ferrovie inizia a chiedere a Gatx ’cosa ci avete mandato’. È un altro grande tema che emerge dal processo: la tracciabilità. Le ferrovie non sapevano cosa mandavano sui binari, a cento all’ora e carichi di gpl altamente infiammabile. Dell’assile che si è spezzato, non sapevano nulla. Perché il senso generale era: cosa ci costa meno?".