"Un uomo straordinario" Mario Tobino visto da vicino

A 113 anni dalla nascita la nipote, Isabella, racconta il medico scrittore "Amava Viareggio, peccato che il Repaci gli arrivò per un libro su Lucca"

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di Alice Gugliantini

"C’è una cosa che ho sempre tenuto forte dentro di me: la curiosità per i moti dell’animo umano". Ad affermarlo Mario Tobino, il medico e scrittore nato a Viareggio il 16 gennaio 1910. Il figlio del farmacista, anche titolo di un suo romanzo, che è stato per anni primario dell’ospedale psichiatrico di Maggiano, ma anche affermato scrittore. È Isabella Tobino, nipote e presidente dell’omonima fondazione, a tracciare un quadro dell’uomo e dell’autore.

Presidente Tobino, che uomo era suo zio?

"Un uomo che amava la vita, con tutti suoi piaceri, nonostante abbia vissuto per buona parte della sua vita nelle due stanzette dell’ospedale di Maggiano con il bagno esterno. Era un uomo affascinante, che amava l’eleganza e il buon mangiare. Un uomo che affascinava le donne".

E per lei?

"Per me era lo zio. Non ci parlava mai del suo lavoro in ospedale né di letterato. Quando ci veniva a trovare era una festa perché non aveva figli. Portava con sé gioia e felicità e cultura nella maniera semplice. Potevano venire con lui Cesare Garboli o Mario Marcucci. Non ci parlava mai del suo lavoro all’ospedale, perché era una vita dura e pesante. C’era pena e dolore. Quando ha iniziato a lavorare a Maggiano non c’erano ancora gli psicofarmaci per trattare i malati".

A quando risale il suo incontro con la scrittura?

"Il primo approccio è stato con la poesia, poi è passato alla prosa. Ma fin da giovanissimo, a 18 anni scriveva già poesie. L’amore per la letteratura c’era già dagli anni del liceo con le letture dei classici. Studiava ciò che amava, le letture avvenivano anche a tarda notte quando era un giovane studente. Come scrive nei suoi scritti, alla letteratura ha dedicato tutta la sua vita, anche per questo ha deciso di non avere figli, sperando di trarne gloria. Come poi è avvenuto con la vittoria dello Strega nel 1962 con "Il clandestino", poi il Campiello e il Repaci".

Perché fece il medico?

"Lo spiega nei suoi diari. Il padre gli disse scegli una professione per essere libero. Nonostante all’epoca gli psichiatri avessero stipendi più bassi degli altri medici, ha potuto vivere serenamente e scrivere senza dover sottostare a nessuna regola".

Qual era il rapporto con Viareggio?

"Amava profondamente la città. Amava passeggiarci con l’amico Marcucci. Vedeva la Darsena come una chiesa, un qualcosa di sacro. Di sicuro da Viareggio si aspettava onore e gloria, mentre il premio Viareggio Repaci gli fu assegnato solo in tarda età con un’opera che parlava di Lucca. E non con "Sulla spiaggia e di là dal molo". Negli anni aveva condannato la costruzione di Città Giardino che vedeva come un scempio, avrebbe voluto che i nomi dei consiglieri che avevano votato a favore fossero scritti su un cartello. Ma anche la costruzione del municipio nell’allora piazza Grande".

Le sembra che negli anni sia stato un po’ dimenticato dalla sua città?

"Accade. Viareggio è un po’ così. Una città balneare che spesso si dimentica Si dimentica dei suoi figli. Di Marcucci, di Viani ma anche di Sergio Bernardini".

Come ha vissuto suo zio l’introduzione della legge Basaglia?

"Ha aperto una diatriba con Basaglia, quando fino a pochi anni prima viaggiavano su binari paralleli, contrapponendoli ideologicamente. La legge 180 non è stata realizzata come Basaglia avrebbe voluto. La posizione dello zio lo lo ha isolato completamente anche nel mondo culturale. Ha sofferto molto perché è stato visto come un conservatore quando non lo era assolutamente".

Quali progetti invece per la Fondazione Tobino?

"Dovrebbe esserci di qui a pochi mesi la firma della convenzione con l’Asl per la concessione trentennale della parte centrale dell’ospedale di Maggiano, che è di proprietà dell’azienda sanitaria. Questo ci porterebbe a poter sviluppare notevoli progetti. In più sempre nella parte centrale c’è l’idea di realizzarvi un museo multimediale però servono molti fondi. Abbiamo bisogno delle istituzioni, locali e regionali, ma anche che tanti vengano a visitare l’ospedale".