
Beppe Vannucchi ha avuto un ruolo dirigenziale nel Pisa che è approdato di nuovo in serie A
Il 4 maggio di Giuseppe (Beppe) Vannucchi, viareggino doc, sportivo, ex politico, canzonettaro e carnevalaro in prima linea, nel cuore e nella testa il pallone in tutte le sue sfaccettature, è sempre stato nel segno del dolore. Da tifosissimo del Torino (tradizione familiare), il ricordo della tragedia di Superga prendeva il sopravvento. Ma l’ultimo 4 maggio è stato diverso: in veste di dirigente, con incarico di addetto all’arbitro del Pisa, ha festeggiato il ritorno in serie A dei nerazzurri. "Premetto – esordisce subito – che con la promozione del Pisa ho pochi meriti: il mio ruolo è molto marginale, svolto con grande passione, da semplice volontario. Da qualche anno sono infatti in pensione".
Ma la giornata è stata speciale "Indubbiamente, con qualche scaramanzia iniziale, quando assieme ad altri dirigenti del Pisa, siamo partiti in aereo per Bari. Mentre ricordavo che il Toro è da sempre la mia squadra del cuore, c’è chi ha fatto gli scongiuri visto che era il 4 maggio".
Beppe Vannucchi ha sempre avuto un pallone per amico. Ma non solo quello… "Per la mia generazione, il calcio è stato il divertimento per eccellenza. Da giocatore e da spettatore, senza gli eccessi di oggi. Tanta passione, il piacere delle sfide interminabili anche in mezzo alla strada, poi quando si trovava un campo erboso, era una festa. Se poi pioveva, arrivavano i palloni pesanti…, niente a che vedere con quelli di oggi".
Il pallone è nel Dna di famiglia… "Quello sì. Soprattutto per merito di mio zio Domiziano, vulgo Trombino, che ha giocato nei campionati professionistici, senza dimenticare le sue presenze con la selezione versiliese al torneo di Viareggio. Ma anche mio padre Raniero e l’altro zio Luciano, il calcio lo masticavano con piacere".
Prima il pallone con i dilettanti, poi il progetto Esperia. Ce ne parli? "Ho vissuto stagioni indimenticabili nel Viareggio, all’epoca della presidenza di Stefano Dinelli, con al suo fianco Enzo Giannecchini e Andrea Gazzoli (attuale amministratore delegato dello Spezia, ndr) direttore sportivo. Ho fatto esperienza. Tanta gavetta soprattutto nei sette anni fra C2 e C1, dietro la scrivania, inseguendo i numeri e i formati excel… Tante ‘mattate’, almeno sembravano tali in quel periodo, sono state invece formative per il mio bagaglio di conoscenze".
Così il calcio è diventato un lavoro vero? "Per molti anni, da ragioniere, ho lavorato al vecchio cantiere Sec, poi dopo altre esperienze, nel 2002 sono approdato alla Perini Navi dove sono rimasto fino al 2017. A quel punto si è fatto avanti il Pisa Calcio dove ho vissuto stagioni come responsabile amministrativo. Una volta andato in pensione due anni e mezzo fa, mi è stato proposto di rimanere come dirigente addetto all’arbitro. E ho accettato”.
Tra l’altro, nelle varie ‘vite’ di Beppe Vannucchi c’è anche quella con addosso la giacchetta nera da arbitro… "Una volta capito che da calciatore c’era tanta passione ma pochissimo talento, partecipai al corso arbitri: la prima partita arbitrata al campo delle Iare a Pietrasanta è stata Stipeto-Marco Polo. Andai bene tanto che dopo un paio di settimane venni promosso ai campionati regionali: debuttai in Barbanella-Picchi Livorno. A fine partita, i dirigenti delle due squadre si complimentarono".
C’è anche una breve parentesi politica, nella lista civica Viva Viareggio Viva, tanto da diventare anche Presidente del consiglio comunale "Una scelta di servizio per la città. Ma dopo qualche mese capì subito che la politica non era nelle mie corde".
Dai campetti di periferia spelacchiati e gibbosi (da giocatore) alla serie A iper accessoriata di oggi (da dirigente): il pallone di Beppe Vannucchi è diventato un contenitore di vite e di volti che continuano a regalargli il piacere di poter galleggiare gradevolmente in un mare di ricordi.