REDAZIONE VIAREGGIO

Renato Galli, l’arte di rendere le cose perfette

Oggi ricorre il centenario della nascita del carrista. Anche Uberto Bonetti lodava la trasposizione in cartapesta del suo Burlamacco

Quando per la prima volta – era il 1977 – Uberto Bonetti vide i Burlamacchi realizzati sul carro di Prima categoria ‘Viareggio in primo piano’ si dice che avesse confidato ad alcuni amici che quelli "erano la miglior trasposizione in 3D del suo disegno su carta". Eppure di Burlamacchi in cartapesta, fino ad allora, ne erano stati raffigurati dai Grandi Maghi, da Pardini a D’Arliano. Eppure per il papà di Burlamacco quelli che vide sfilare nel 1977 erano i migliori. E da quel momento Renato Galli è rimasto il carrista di Burlamacco, tanto che la statua di piazza Mazzini dedicata alla maschera viareggina, è tratta proprio dal calco di quei Burlamacchi del 1977.

Oggi ricorre il Centenario della nascita di Renato Galli ed era giusto partire da questo aneddoto per tratteggiare la figura di un grande carrista che sarebbe troppo riduttivo legare al solo Burlamacco: ha regalato infatti opere meravigliose realizzate grazie alla sua raffinata tecnica di lavorazione delle armature in legno e alle sue indubbie doti di modellatore della cartapesta.

Renato era nato a Viareggio il 9 luglio del 1921. Una data simbolo per il Carnevale: la manifestazione che riprende dopo l’interruzione bellica (e forse anche dopo la pandemia Spagnola), la Coppa di champagne. E’ il primo di cinque fra fratelli e sorelle. Dopo di lui verranno Renata, Giorgio, Leonildo, il più piccolo di tutti. Anche se poi alla storia della manifestazione passerà soprattutto il terzogenito, Arnaldo, classe 1926, il Genio per eccellenza del Carnevale viareggino. Papà Marino era un ottimo calafato che ogni mattina si spezzava la schiena in via Coppino per portare un po’ di soldi in casa e per mettere in mare i fantastici velieri della marineria viareggina di inizio Novecento. Marino, come tanti calafati, aiutava qualche carrista dell’epoca ad allestire le strutture portanti del carro. Ma nulla di più. Renato prese molto dal padre. Era un bravissimo tornitore e lavorava in carrozzeria. Poi - attratto da chissà che – si avvicinò al mondo dei baracconi (quando ancora nell’anteguerra in realtà non c’erano) e cominciò a realizzare maschere di carnevale. La sua prima isolata è datata 1937, quando aveva appena 16 anni. Fu l’inizio della sua lunghissima carriera. Negli anni Cinquanta realizzò diverse maschere isolate e di gruppo con cui vinse numerosi primi premi, prima dell’approdo in Prima categoria nel 1964. Dove rimase praticamente fino alla fine, il 1985, quando decise di scendere di categoria insieme al figlio Fabrizio e soprattutto prima di chiudere i suoi occhi di sognatore definitivamente e prematuramente nel 1986 a 65 anni, 50 dei quali trascorsi agli hangar.

Equilibrato, moderato, misurato nella vita di tutti i giorni (l’esatto opposto del fratello minore Arnaldo dalla personalità vulcanica e strabordante) seppe portare nel mondo del Carnevale le sue esperienze di carrozziere e tornitore. Evidenziate soprattutto nella cura del dettaglio e dei minimi particolari. Fu lui, ad esempio, a stuccare il legno e a lucidare la cartapesta in modo da toglierle ogni imperfezione. Una tecnica che ha fatto scuola e che, a ruota, hanno poi ripreso tutti gli altri.

"E’ stato un padre sempre presente – ricorda oggi il figlio Fabrizio che ne ha raccolto l’eredità nel mondo di Burlamacco – che non ci ha mai fatto mancare nulla. Ho imparato tanto guardandolo e osservandolo: non era prodigo di consigli e non mi ha mai forzato a intraprendere questa carriera; io l’ho sempre studiato in silenzio. Fin da piccolo quando lui mi costruiva sul carro un posto a me riservato per quando si sfilava sui viali a mare. Negli ultimi anni si era dedicato alla coltivazione di un orto. Faceva la verdura e anche il vino. Ricordo la festa quando portava a casa cipolle, fragole e asparagi: avevano un sapore speciale. Così come speciale era quel profumo di resina, pino e abete che respiravo ogni giorno al suo baraccone. Sono odori e sensazioni che ancora porto dentro di me insieme al ricordo di un uomo, un artista e un padre a cui devo molto". E a cui deve molto anche la città di Viareggio.

Paolo Di Grazia