REDAZIONE VIAREGGIO

Quell’omicidio senza colpevole

La mattina del 10 giugno di 32 anni fa, Viareggio capì un’altra volta che l’etichetta di “isola felice” stava declinando piano piano verso qualcosa di meno gioioso e più preoccupante.Sì, perché alle prime luci del mattino, lungo il viale dei Tigli – all’altezza del collegio Colombo – dopo una segnalazione fatta al 113, venne trovata una persona in fin di vita, distesa sull’asfalto: l’uomo presentava una profonda ferita alla nuca, tamponata alla meglio con un asciugamano, che faceva anche da cuscino. Chi giunse sul posto, dopo un iniziale banale equivoco sulla dinamica dell’evento (si pensò ad un pedone investito da un’auto pirata), capì che l’uomo stato ridotto in quel modo da qualcuno che l’aveva colpito alla testa violentemente con un corpo contundente, forse un martello o un bastone. Purtroppo, dopo un paio d’ore di ricovero , arrivò la tragica notizia, il ferito non ce l’aveva fatta: la vittima si chiamava Pietro Arena, era un pensionato benvoluto da tutti, che nelle ore notturne collaborava con i titolari dei chioschi, garantendo una sorta di guardianaggio nella zona. Non ci volle molto a definire la dinamica dell’omicidio: Pietro Arena aveva scoperto qualcuno sta stava rubando all’interno di un vicino chiosco. E questo ‘qualcuno’ aveva reagito con violenza. Purtroppo il ‘qualcuno-omicida’ non è mai stato identificato nonostante polizia e carabinieri avessero schierato i migliori investigatori dell’epoca. Sia in via Foscolo (allora comando dell’Arma) che in via Battisti (sede del commissariato), erano convinti di avere in mano le carte vincenti per incastrare il presunto colpevole, ma in concreto mancava la prova regina per poter chiedere un rinvio a giudizio dell’indagato: il giovane finito al centro dell’inchiesta, aveva sempre respinto ogni addebito, arricchito da un alibi che però non convinceva gli inquirenti. Polizia e carabinieri non mollarono la presa ma la richiesta di rinvio a giudizio non venne mai formulata dalla Procura, proprio per la debolezza dell’impalcatura accusatoria: un conto sono le sensazioni e le convinzioni, un altro le prove. È stato così che la morte di Pietro Arena è andata ad arricchire l’armadio dei casi irrisolti presente in ogni caserma o ufficio giudiziario. Trentadue anni dopo, ricordare la scomparsa di Pietro Arena è il minimo che la città possa fare. A ben vedere, anche questa è una morte sul lavoro, a difesa di una comunità. A parte i familiari e gli amici dello scomparso, quanti si ricordano del drammatico episodio?