
Quando il Teatro fa Rumore. L’avventura di llaria Lonigro e l’eredità del compagno Davide
di Gaia Parrini
Il teatro come bussola, mezzo per sviluppare la propria fantasia, la propria coscienza, la propria identiità. E teatro, soprattutto, come voce, di storie e racconti, che possono fare, e fanno, baccano, rumore. Come quel teatro, che da quel Rumore ha preso il nome, fondato dieci anni fa da Davide Moretti, e portato avanti, dopo la sua scomparsa, dalla compagna Ilaria Lonigro, attrice, giornalista e regista teatrale.
Ilaria, come si è approcciata al teatro?
"Ho iniziato al liceo. Facevo tennis, mi feci male e non potevo più giocare. I miei compagni di scuola mi portarono a teatro e ho scoperto così un mondo incredibile. Le situazioni, poi, sono fatte dalle persone e la mia insegnante, Antonella Padolecchia, è stata straordinaria. Mi ha fatto scoprire il teatro e da quel momento non l’ho più lasciato".
Quest’anno Teatro Rumore compie dieci anni. Qual è l’esigenza, da cui è nato?
"Davide è stato il motore principale. Teneva già corsi di teatro dedicati a bambini e ragazzi con suo fratello Andrea, e nel 2014 decise di creare una scuola sua. L’obiettivo, da sempre, non è creare attori ma sviluppare la fantasia dei ragazzi, e divertirsi insieme".
Perché il nome Rumore?
"È come l’ha sempre voluto chiamare Davide, perchè, diceva, “nella vita bisogna fare rumore“".
Cosa può apportare il teatro, a livello performativo, culturale ed educativo, ai ragazzi?
"Il teatro insegna la presenza scenica, a stare sul palco, a essere più consapevoli dei movimenti, del volume della voce e delle proprie emozioni. I nostri spettacoli non sono mai stati puramente pedagogici, possono essere “stupidi“ o impegnati, con testi e temi importante, o meno, ma lo scopo è soltanto andare in scena per divertirsi e mettersi alla prova. E, a livello educativo, mettersi nei panni degli altri, insegna a riconoscere le emozioni dell’altro e a sviluppare un’empatia importante e fondamentale".
Quanto è importante il teatro in una città come Viareggio?
"Viareggio è un territorio strano, in modo positivo. Ci sono tante scuole di teatro e ognuno ha il suo metodo. Quindi significa che c’è un fermento che non si trova altrove. Viareggio ha un senso di comunità, di appartenenza e identità molto forte, anche quando viene raccontata a teatro. Ad esempio, gli spettacoli legati a Sant’Anna, a Maggiano e al 29 giugno, anche dopo anni, hanno ancora una vita lunga".
Il suo lavoro da giornalista influisce su quello teatrale?
"Sì, la curiosità e il capire cosa può funzionare dal punto di vista narrativo è una caratteristica del giornalismo che trovo anche nel teatro, come la documentazione e il rapportarsi alle persone per farsi raccontare le storie. Penso poi al ritmo di una narrazione: se un articolo manca di ritmo smetti di leggerlo, e lo stesso vale in uno spettacolo. E anche il rispetto di chi usufruisce di quello che fai, che sia il lettore, o lo spettatore".
Da cosa parte per l’ideazione di uno spettacolo?
"Abbiamo spettacoli di repertorio che riproponiamo, e i nuovi maturano lentamente. A volte parto da una storia o da un testo, a volte da dettagli e spunti dei ragazzi a lezione, e metto tutto da parte, in un cassettino del mio cervello, e annoto, creando poi un collage e formulando una trama che tenga unite tutte queste cose. Nel caso di Davide, invece, si partiva dalle musiche".
A proposito di Davide, dopo la sua scomparsa, ne ha preso il testimone e ha portato avanti l’attività. È stata una scelta difficile?
"Non ho mai pensato di lasciare morire Teatro Rumore. C’è stata una quota di dolore, ma, a pensarci bene, a teatro si sente meno la sua assenza, per me, ma anche per i ragazzi. Se fosse qua sarebbe più facile, ma Davide è riuscito a creare un’identità di Teatro Rumore talmente forte che è sopravvissuta alla sua assenza fisica".
È questa, l’eredità che Davide ha lasciato?
"Sì, un’identità forte e la voglia di divertirsi, di fare tutto con carica ed entusiasmo".
Quanto fa davvero rumore il teatro?
"Tanto. Crea un eco nell’immaginario dei bambini e dei ragazzi che ha un impatto sul loro futuro, sulla sicurezza in sé stessi, anche per chi hanno intorno, che non possiamo nemmeno calcolare. Non necessariamente creiamo persone solari e grintose, ma ci proviamo, dando loro strumenti che nella vita possono recuperare, nel cuore o nel cervello, e mettere in atto in momenti di difficoltà. Poi penso anche al pubblico...Ci sono scene o storie tragiche che in alcuni casi ancora vivono, e lì, vai a incidere sulla carne viva delle persone. E se racconti bene, con rispetto, una storia, il rumore che crei, amplifica la memoria".