GAIA PARRINI
Cronaca

Amicizie scolpite nel tempo: da quasi mezzo secolo si ritrovano sempre sulla medesima panchina

Manolo, il Paci, Lillo sembrano personaggi usciti da una fiaba ottocentesca. Un piccolo angolo di Passeggiata trasformato in palcoscenico a cielo aperto

I panchinari in protesta nel 2014, quando la loro panchina storica, dopo i lavori sulla Passeggiata, non fu rimessa.

I panchinari in protesta nel 2014, quando la loro panchina storica, dopo i lavori sulla Passeggiata, non fu rimessa.

Viareggio, 11 maggio 2024 – Erano i ragazzi che giocavano a pallone, non solo nelle squadre del territorio, ma anche sulla Passeggiata. Quando c’erano i marciapiedi con "gli alberetti" e le panchine di legno e quando, su quelle panchine, dal molo fino a tutto il lungomare, si ritrovavano e trascorrevano le giornate.

La panchina dei “Figurini” davanti a Chelotti, quella di Piazza Mazzini e del Margherita. Il gruppo al femminile “Le Monkeys” del “Bombay” e quello del Sommariva. Erano gli anni ’80, non c’erano gli smartphones, le app di messaggistica istantanea, i social media e nemmeno la loro necessità. Perché c’erano i gruppi di amici che, senza bisogno di orari, si radunavano su quelle panchine divenute, nel tempo, il loro regno, il loro posto, e il loro rifugio.

Adesso, di quelle panchine, o meglio, di quei ragazzi “panchinari” che giocavano a pallone, qualcuno ancora vaga sperduto, qualcuno se n’è andato e qualcuno, invece, è rimasto. Su quell’unica panchina, di fronte al ’48, che porta tuttora con sé, e nei ragazzi divenuti ormai uomini, il significato di ciò che, quegli anni, sono stati.

È tra i graffiti su pietra della Zoria e di Aurelio che, infatti, ogni giorno si incontrano, ormai da 45 anni, Manolo, il Paci, Lillo, Gianfrancesco, e un’altra decina di nomi e volti che, di stagione in stagione, riparandosi all’ombra dell’albero aldilà della strada quando il sole estivo cuoce l’asfalto o sotto la veranda del bar Eden quando la pioggia batte l’inverno, non mancano un appuntamento.

A ricordare le avventure, e gli avventori, che da lì sono passati e che, lì, per un lungo o breve periodo che fosse, sono stati accolti. Tra buffetti scherzosi e risate beffarde, conversazioni tutt’altro che caste, e scommesse, previsioni e discussioni calcistiche difficilmente non udibili anche a chilometri di distanza. Ma, che lo si voglia o meno, intrattengono e attraggono, in quello che è divenuto il loro palcoscenico all’aria aperta, il pubblico della Passeggiata. Di chi, facendo footing, passa distrattamente e in una frazione di secondo capta l’argomento di dibattito. Di chi, andando a spasso con il cane, si ferma ad assistere. E di chi, tra questi, decide di partecipare e argomentare. Aggiungendosi a quella lista di nomi e visi che hanno scritto la storia, e continuano a scriverla, della “Panchina“.

"Siamo l’unica rimasta - racconta infatti Sergio Paci - Ormai la gente ci conosce. Abbiamo acquistato anche personaggi che prima non venivano, ma hanno cominciato perché sentivano parlare di pallone". Ed è una passione viscerale, quella per il calcio, che infatti aleggia nei loro discorsi, nelle grida di chi, passando in bicicletta, aizza i tifosi concorrenti e anche nei colori che, ultimamente, hanno dipinto La panchina. Erano quelli nero azzurri che, dopo la vittoria dello scudetto dell’Inter, la decoravano per festeggiare la ventesima stella, incontrando la gioia e l’approvazione dei tifosi interisti. Primo su tutti Paci, presidente dell’Inter della Panchina della Passeggiata.

Approvazione venuta meno quando, nella notte di qualche giorno fa, armato di bomboletta e vernice, qualche tifoso milanista, dall’identità sconosciuta, l’ha ridipinta con i colori rosso neri. Suscitando reazioni e investigazioni divertite, accuse e sospetti scanzonati. Chi sia stato, però, non si sa. "C’è stato qualcuno che la notte si è alzato e l’ha pitturato. Perché devi capì una cosa: il popolo è milanista, vede e poi provvede" dice Manolo, nome d’arte di Sandro Bertolucci, quale presidente della controparte milanista della Panchina. Ma che tifino l’una o l’altra squadra, c’è un filo, aldilà delle competizioni e dei colori delle maglie, che li lega. Quello, insieme al disdegno comune per la Lucchese, di un’amicizia e di una storia, di vita, per una vita.