
Esiste ancora una ristorazione viareggina, camaiorese, pietrasantina? Come se la passano i locali versiliesi, tra tipicitàa rischio d’estinzione e costi crescenti, a partire da das e luce? "La cucina è cambiata – racconta Roberto Franceschini dello stellato ‘Da Romano’ – ma lo stesso di potrebbe dire della musica, dell’arte e della letteratura. Le persone vanno a cena fuori non solo per mangiare, ma per un’esperienza, per provare cose nuove. Col Covìd, in tanti hanno scoperto la gioia di cucinare ma non hanno le basi e le tecnologie per piatti d’avanguardia". In pratica, significa "valorizzare la presentazioni dei piatti, che però non dev’essere fine a se stessa. Sono contrario ai piatti con più di tre o quattro ingredienti, perché l’obiettivo deve essere sempre la valorizzazione del prodotto e del gusto. Influenze di altre cucine? Noi non abbiamo richieste particolari; piuttosto, cerchiamo di adeguare la nostra cucina agli anni Duemila. Ad esempio, invece di proporre una zuppa di pesce a lunga cottura, la prepariamo al momento, magari accompagnata da una salsa che ha dentro di sé tutto l’umami, il gusto e il sapore che esaltano i pesci cotti espressi, in modo da mantenere inalterate le loro caratteristiche".
È proprio cambiata la musica: dai Led Zeppelin ai Måneskin. Anche i costi sono stellari, quindi la parola d’ordine è: qualità. "Chiaramente, materie prime ed energia incidono – spiega David Vaiani del Bistrot di Forte dei Marmi, una stella Michelin – ma l’unica possibilità, per chi fa un lavoro come il nostro, è stringere i denti. I costi non si possono ricaricare sui clienti, che in questa fase sono alle prese con problemi analoghi. E non si può neanche pensare di metter mano allo staff: il personale è imprescindibile per garantire un servizio di livello. Così i numeri di clienti clientela restano nei parametri". "Per quanto riguarda il costo dell’energia, la bolla è un po’ rientrata – sottolinea Lorenzo Tosi del ristorante La Risacca, sulla passeggiata di Lido – ma i prezzi non sono scesi di conseguenza. Per forza di cose, abbiamo dovuto ridurre un po’ il margine. Il costo delle materie prime incide soprattutto sui prodotti non lavorati: latte, burro, uova, zucchero e pasta, ma sempre con delle piccole differenze. Noi ad esempio usiamo una pasta di grano italiano, quindi il rincaro è stato minimo. Anche col pesce, fornendoci da pescatori locali, ci sono stati rincari legati al caro gasolio e al fatto che c’è meno prodotto. E poi il vino è aumentato del 20 per cento. Ma paradossalmente, il peso dei rincari si avverte di più se si lavora con una qualità inferiore. Credo che l’unica prospettiva di crescita sia legata all’esperienza del cliente: al ristorante non si va più per mangiare, si va per fare un’esperienza, per trovre qualcosa che a casa non si può vivere. Immagino che nel tempo si aprirà una forbice tra chi propone qualcosa di ragionato, dall’enogastronomia all’ambiente alla cura, e chi non lo fa".
Al ristorante del bagno La Pia si viaggia sulla stessa lunghezza d’onda. "I rincari ci sono stati – spiega la titolare Serena Cipollini – e incidono in modo diverso in base alla tipologia di lavoro proposta. Noi lavoriamo tanto col fresco: frutta e verdura hanno oscillazioni quotidiane e non ci sono strategie per difendersi dai rincari. L’unica strada possibile è scegliere la qualità. Se uno segue i prezzi, prima o poi va in difficoltà: noi sappiamo che avremo un margine inferiore su determinati piatti, ma anche che ci sono clienti affezionati, che si fidano e tornano da noi invece di andare altrove. E infatti quest’anno, nonostante le difficoltà causate dai tanti fattori in gioco, a conti fatti siamo soddisfatti della stagione".