Ai microfoni dell’emittente marocchina Chouf TV si è presentata come "la sorella maggiore" di Said Malkoum, e chiede "giustizia. Nemmeno un animale – dice – si uccide in questo modo".
Ha appreso la notizia dai tg italiani e ha visto il video integrale di un minuto e venti secondi, "disumano" aggiunge, che mostra gli ultimi istanti di vita di un fratello. Un uomo che per quattro volte, l’ultima quando ormai è in ginocchio, viene travolto dall’imprenditrice alla guida di un Suv che l’aveva riconosciuto come il rapinatore che, pochi istanti prima, all’uscita dal ristorante, le aveva rubato la borsetta. E lì, dopo aver ripreso ciò che le era stato portato via, lei lo lascia. "Nonostante avesse visto le sue condizioni – aggiunge la donna – è andata via senza pietà, senza chiedere aiuto".
Tra le mani, di fronte alle telecamere, la donna, accompagnata da altre due sorelle, stringe la vecchia fotografia di un ragazzo: gli occhi tagliati a spicchio di luna assomigliano proprio a quelli di Said. È convinta che l’uomo ucciso su un marciapiede di via Coppino, e che nell’ultima immagine si mostra segnato dal tempo, con un sorriso ormai rimasto a metà, sia proprio suo fratello. Lo stesso ragazzo che, come tanti altri fratelli nel Nord Africa, aveva lasciato Casablanca "ventiquattro anni fa" e per inseguire qualcosa è arrivato a Viareggio. Dove il tempo gli è scivolato via, dalle mani, su una panchina, di fronte alla chiesa di San Paolino, su cui trascorreva le sue giornate. Dove è sopravvissuto, senza documenti, dunque opportunità né una fissa dimora, arrabattandosi. Su un crinale scivoloso.
Attraverso le parole della donna, sui cui si cercano oggi conferme anche per far ottenere ai familiari una rappresentanza legale, è possibile conoscere qualcosa di più sulla vita “prima“ di Said, che in Italia era arrivato a trent’anni senza permesso di soggiorno e che, alla prima identificazione, si era presentato come algerino. Così, infatti, risulta negli archivi della Questura, nonostante l’Algeria non lo avesse mai riconosciuto come suo cittadino quando, nel 2019, l’uomo fu raggiunto da un ordine di espatrio.
La donna racconta che il fratello "era nato nel 1970", Said avrebbe dunque compiuto a giugno 54 anni. Sua madre è scomparsa, qualche anno fa, senza averlo mai riabbracciato. "Ed era una persona rispettosa – dice un’altra delle sorelle –: tutti coloro che lo hanno conosciuto lo confermano". Fanno riferimento ad un parroco della città, "che lo ha conosciuto nel profondo" "Era una persona comune, come tante. Abbiamo paura che proprio per questo la sua storia venga dimenticata – proseguono – e non ci sia giustizia. Chiediamo l’intervento delle massime autorità italiane e marocchine, compreso il Re, affinché vigilino sulla situazione".
L’appello della donna è accorato: spesso scoppia in lacrime, agitando la vecchia foto che ha in mano. "Siamo consapevoli – afferma - che Said non si trovasse sulla strada quando è avvenuto l’investimento, ma è sul marciapiede. L’autrice del fatto, perciò, è salita con la sua auto con il chiaro intento di investire nostro fratello. Dopo di che si vede bene come scenda, si diriga verso Said, lo guardi con freddezza, risalga e se ne vada. Nemmeno un animale si uccide così". "La nostra famiglia – prosegue la donna – è sotto choc e chiede venga fatta giustizia. Soprattutto, non ci capacitiamo del fatto che all’autrice del fatto siano stati dati solo i domiciliari". E chiedono rispetto "per il nostro sentimento di tristezza, perché – concludono – ci aspettavamo di rivederlo vivo davanti a noi, ma oggi apprendiamo la notizia della sua uccisione in modo barbaro".
Martina Del Chicca