Mario Marcucci, il pittore viareggino dei poeti

A 30 anni dalla scomparsa l’artista meriterebbe un riconoscimento dalla terra che ha sempre amato e dipinto nei suoi quadri

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di Enrico Salvadori

Il pittore dei poeti. Mario Marcucci è stato l’unico artista viareggino ad avere un rapporto molto stretto e a vantare la grande stima di personaggi di spicco della cultura del nostro Paese. Un pittore di grandissima qualità che meriterebbe un nuovo omaggio dalla sua città.

In Versilia c’è l’associazione “Amici di Mario Marcucci” che ha avuto come artefici Ireno Francesconi e il compianto Manlio Cancogni. Marcucci è stato ricordato in un libro molto bello e carco di affetto dal regista e scrittore Adolfo Lippi che lo conobbe bene e lo apprezzò prima della sua scomparsa avvenuta il 2 maggio 1992. Marcucci aveva 82 anni e alle spalle una vita molto intensa. Era stato un bellissimo ragazzo, con l’aria sfrontata e la grande passione per il disegno e per la pittura che coltivava da autodidatta anche dopo che si imbarcò all’età di 17 anni. In un ambiente familiare semplice si era formato all’insegna di radicati valori e di solidi sentimenti.

Austerità di costumi che condizionò anche la sua arte, come sottolineò scrivendo di lui Cesare Garboli, uno dei tanti amici che ha avuto nel mondo della cultura vera. Aveva predilezione per la pittura a olio e per l’acquerello e verso soggetti tratti dall’ambiente domestico e familiare. Fondamentale l’amicizia stretta con Mario Tobino e con Luca Ghiselli. Mario vinse il concorso di pittura legato al Premio letterario Viareggio nel 1932: fu Gino Parenti a far conoscere Marcucci a Leonida Repaci che ogni anno con il Premio assegnava un riconoscimento a un giovane artista. E così Marcucci ricevette la bella somma di 1000 lire per il quadro “Cabine sul mare”. Con Tobino e Ghiselli Mario Marcucci discuteva di pittura e poesia in una casupola di legno sulla spiaggia di Levante o all’Eolo in Passeggiata. Nel 1937 arriva l’attestato pubblico di grande apprezzamento di Carlo Carrà che lo celebrò dalle pagine de L’Ambrosiano.

È il 1939 quando Alessandro Parronchi introduce Marcucci nella cerchia dei letterati residenti a Firenze, tra cui Mario Luzi, Eugenio Montale, Carlo Betocchi, Romano Bilenchi e Antonio Delfini, i quali trovarono nelle opere di Marcucci il corrispettivo pittorico del loro sentire poetico. Il riconoscimento a livello nazionale dell’opera di Mario Marcucci avviene nel 1941 quando vince il terzo premio Bergamo, allora il concorso artistico di maggior prestigio in Italia dopo la Biennale di Venezia e la Quadriennale di Roma. La Liberazione segna per Marcucci la decisione di trasferirsi a Firenze e aprire uno studio in via dei Serragli. Ma lui tenne una linea lontana da quelle correnti ideologiche e politiche che dominavano il dibattito sull’arte. La partecipazione a importanti mostre fa da preludio al suo trasferimento a Roma negli anni Cinquanta. Un soggiorno stimolante per gli incontri e i rapporti personali come quello con Alberto Moravia.

Al breve periodo romano seguì un nuovo soggiorno fiorentino con il suo atelier che fu distrutto dall’alluvione del 1966. Poi il rientro definitivo a Viareggio con l’amata Carla Fontanini che sposerà nel 1985. Ma la salute di Marcucci è minata da un ictus che lo porterà col tempo alla quasi completa cecità. Nel 1990 la sua Viareggio gli dedica una mostra per la sessantunesima edizione del Premio Letterario Viareggio. Due anni dopo la morte.