DANIELE MANNOCCHI
Cronaca

La storia che si ripete: "Nel ’66 eravamo a Firenze. Con i nostri patini sull’Arno"

Rodolfo Martinelli del Bagno "Aurora" ricorda quei giorni dopo l’alluvione di 57 anni fa "La gente ci sparava dalle finestre perché voleva che mettissimo in salvo prima i maiali".

La storia che si ripete: "Nel ’66 eravamo a Firenze. Con i nostri patini sull’Arno"
La storia che si ripete: "Nel ’66 eravamo a Firenze. Con i nostri patini sull’Arno"

"Ero al Politeama a vedere Per un pugno di dollari... per la terza volta". Rodolfo Martinelli, titolare del bagno Aurora, ricorda bene l’alluvione del ’66, quando una pattuglia di bagnini viareggini partì per dare una mano alla popolazione colpita dalla tragedia. "S’interruppe la proiezione – racconta –, furono accese le luci e una persona col microfono invitò i balneari presenti a una riunione al bagno Nettuno. Arrivati là, Oreste (Giannessi; ndr) ci disse di tirare giù i bandoni e preparare i patini, ché si sarebbe partiti per Poggio a Caiano". Tra gli ’Angeli di Viareggio’ c’era anche ’Foffo’. "Già nel ’50 mio padre mandò cinque patini nel Polesine – continua – e non ne tornò uno. Noi bagnini venivamo mobilitati perché il patino era l’unico mezzo che poteva spostarsi nelle zone alluvionate. Arrivarono i bersaglieri coi cingolati, ma distruggevano le macchine; provarono i vigili del fuoco coi canotti, ma avevano le eliche a ostacolarli".

"Dormivamo in un convento delle suore, con i sacchi a pelo – rievoca Martinelli – e si mangiava al ristorante ’Il falchetto’, che chissà se esiste sempre. Si facevano in quattro per darci da mangiare: quel che potevano, levandoselo di bocca. E noi a fare su e giù con i patini, anche con viaggi di 12 chilometri per portare via due persone. Mentre la notte partivano gli allarmi perché giravano gli sciacalli".

Un’esperienza intensa, quella del ’66. Di cui Martinelli conserva nitidi i ricordi. "Dopo un paio di giorni si rimane in pochi, una decina, perché c’erano altri allarmi. E non fu facile rapportarsi con gli abitanti. Ci sparavano dalle finestre: non contro la figura, sia chiaro, ma nell’acqua, sulla traiettoria dei patini, perché volevano che si andasse a salvare il maiale o la vacca. Mica lo capivano che il maiale sul patino non ci entra. Lucianone del Raffaello si arrabbiò talmente tanto da minacciare di portarci via. Dovettero mandare i bersaglieri a farci da cordone di sicurezza, mentre il sindaco cercava la riconciliazione. E non potevamo ricevere rinforzi perché da Roma avevano mandato tutti i vaccini per il colera disponibili: erano in pastiglia e bastavano solo per noi".

Su e giù, ai remi, giorno e notte. "Abbiamo preso gente anche dal terzo piano – racconta ancora Martinelli –; solo che quelle case non avevano gli avvolgibili, ma il portellone che si chiude con un gancio. E il povero Anichini (Franco; ndr) , mentre mi passava un anziano per caricarlo sul patino, scivolò e si prese l’uncino di ferro nel coccige. Stava per svenire dal dolore. E spesso, per andare dalle persone anziane, dovevamo caricare con noi anche il prete e il maresciallo dei carabinieri, perché gli abitanti non volevano lasciare casa per paura che i ladri gli portassero via gli averi di una vita. E in effetti, qualcuno che si è infilato la gallina sotto braccio purtroppo l’abbiamo visto".