La sottile linea rossa Quando la città fu devastata dalle bombe tedesche e alleate

A partire dall’immediata dopoguerra fu necessario mettere in atto un capillare sminamento sulla spiaggia, ma anche in altre zone. E ancora oggi riemerge un passato da incubo.

La sottile linea rossa  Quando la città fu devastata  dalle bombe tedesche e alleate

La sottile linea rossa Quando la città fu devastata dalle bombe tedesche e alleate

di Daniele Mannocchi

Un deposito di granate riaffiora dagli scavi per le fognature, riportando alla luce un pezzo di storia della città. Viareggio, durante la seconda guerra mondiale, ha pagato un prezzo altissimo per le bombe. Sganciate dall’alto, ma anche sparate da terra. O, peggio, nascoste sotto terra.

A condannare la città è stata la sua posizione geografica. Dopo lo sfondamento della linea Gustav, nel mese di maggio del 1944, i tedeschi ripiegarono sul secondo sbarramento difensivo disegnato per tagliare agli Alleati l’accesso alla Pianura Padana: la linea Gotica, che dalle nostre parti seguiva il fiume Versilia per poi slanciarsi sulle Apuane. Nei piani del comando alleato, Viareggio non aveva un ruolo significativo. Gli sforzi erano concentrati sul versante adriatico, dove l’ampio corridoio pianeggiante che corre fino al nord Italia garantisce migliori spazi di manovra. Sul fronte tirrenico, invece, spostarsi è più difficile: per raggiungere la Pianura Padana, bisogna risalire la dorsale appenninica e quelle alture che, già a pochi chilometri dalla Versilia, si tuffano in mare.

E anche all’interno dello scenario provinciale, Viareggio non aveva un ruolo determinante: l’avanzata degli Alleati era concentrata sulla Valfreddana, dove furono mandate a operare le formazioni partigiane versiliesi, e sulla conquista della Garfagnana. La liberazione della costa era subordinata a quella dell’entroterra, col risultato che le forze alleate avanzavano a rilento. I tedeschi, però, nel ritirarsi verso la linea Gotica, temevano che gli Alleati sfruttassero le ampie spiagge di Viareggio per tentare uno sbarco, sulla scia di quanto avvenuto ad Anzio.

E così, l’intero litorale fu minato e gli edifici riadattati a bunker in cui piazzare i cannoni che avrebbero dovuto investire di esplosivi i trasporti anglo-americani. "Dopo l’occupazione, il comando tedesco aveva imposto, con un ordine del 28 ottobre 1943 – si legge in un resoconto dell’Anpi consultabile sul sito del comune di Viareggio – di sgomberare, entro il 10 novembre, tutti gli edifici in muratura o in legname compresi tra il mare, il molo nord, il viale Margherita e il viale Marconi, fisso alla Fossa dell’Abate, e di lasciare libere tutte le abitazioni, i negozi, gli uffici e gli esercizi di qualunque genere. Da allora, e prima che, il 17 aprile 1944, l’ordine di evacuazione pressoché totale fosse impartito a tutta la città, per il paventato pericolo di attacchi dal mare che potessero dar luogo a uno sbarco alleato, l’intero arenile fu munito e fortificato: la spiaggia fu disseminata di mine, furono realizzati su tutto il litorale sbarramenti di filo spinato e l’organizzazione difensiva fu rinforzata con oltre cinquanta postazioni militari".

A questa situazione letteralmente esplosiva, si aggiungeva il fatto che i tedeschi, per rallentare l’avanzata alleata, oltre a distruggere ponti e infrastrutture, cercavano di tenere le prime linee delle colonne anglo-americane sotto il tiro dell’artiglieria. In questo contesto Viareggio, benché fosse un obiettivo secondario nel teatro versiliese e garfagnino, si era trovata sommersa dagli ordigni, sia mine che granate.

Per questo, una volta liberata la città dai tedeschi nel settembre del ’44, il principale problema da affrontare fu di liberarla dalle bombe dei tedeschi. Non si tratta di una situazione particolarmente originale: tra il ’44 e il ’48, in tutta Italia furono rimossi circa dodici milioni di mine e tre milioni di bombe e proiettili d’artiglieria inesplosi, con un grande e altruistico contributo da parte dei civili. A Viareggio, poi, incombeva la stagione estiva del ’45, e così il lavoro fu svolto "rovesciando palmo a palmo per cospicua profondità l’intero arenile, in tempi forzati anche per consentire un minimo di ripresa di attività balneare – si legge ancora nel documento dell’Anpi – da metà maggio ai primi di luglio del 1945. Essenziale in quest’opera fu il ruolo del Cln, alla cui presidenza era Lamberto Manfredini, che finalizzò all’impresa una sottoscrizione popolare e la costituzione di un Comitato pro Viareggio, di cui fu presidente il repubblicano Eugenio Barsanti e vicepresidente Manfredini. Da più parti fu rimarcata la pronta partecipazione alla sottiscrizione dei ceti popolari e, al contrario, il tiepido riscontro deli imprenditori".

Ma nonostante l’ecomiabile lavoro svolto sia a Viareggio, sia nella Versilia Storica, e che costò la vita a sei civili, gli ordigni inesplosi lacerarono Viareggio con un ultimo, devastante colpo di coda: il 18 luglio del ’45, una parte delle mine rimosse e accantonate di fianco alla Casa del Fascio, esplosero mentre – o almeno, così vuole la vulgata – nel palazzo si teneva una festa: morirono a decine, tra militari alleati e semplici viareggini. E ancora di più furono i feriti e i mutilati.