"La natura è utile, ma anche saper scrivere A scuola serve equilibrio, togliete i cellulari"

La psicoterapeuta Vitagliano sottolinea i rischi digitali per la formazione delle nuove generazioni. E gli effetti sociali si vedono già

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di Beppe Nelli

Scrivere, leggere e fare di conto sono – erano – l’Abc dell’apprendimento, quella cosa che fa sviluppare il cervello e diversifica l’uomo da qualsiasi altro animale. Nel bene e nel male. Ma oggi sono sempre più i nativi digitali, le generazioni nate nella rivoluzione informatica e social. E la scuola si adegua: a Forte dei Marmi e Viareggio partono gli esperimenti con le prime elementari che, invece di stare in classe a scrivere pagine di lettere, esordiscono la carriera scolastica in spiaggia e in pineta. Evoluzione o involuzione? Ecco il punto di vista della dottoressa Fausta Vitagliano, conosciuta psicologa e psicoterapeuta. Lei non vede negativamente le novità didattiche, ma avverte: "Fa bene chi vieta la presenza dei telefonini in classe. Se una persona non ne può fare a meno manifesta dipendenza, e le dipendenze vanno sempre corrette e evitate".

Dottoressa, abbiamo sempre più giovani cittadini che non hanno acquisito la manualità della scrittura manuale corrente, e al contempo leggono poco o non leggono affatto romanzi, saggi, articoli: nessun elaborato complesso. Ci dobbiamo preoccupare?

"Il fatto di non leggere e scrivere manualmente evidenzia che la modalità di apprendimento è cambiata, è mutato il contesto sociale e la scuola si sta adeguando. Sta cercando di aggiornarsi, ma la politica didattica varia da istituto a istituto. Quello che mi preoccupa è la mancanza della capacità di riflessione, crescente tra i bambini e i ragazzini che usano strumenti che hanno tempi di reazione e stimolo veloci...".

Che vuol dire?

"Computer e cellulari forniscono reazioni e stimoli velocissimi che non permettono di attivare le zone del cervello relative alla capacità di riflettere. C’è una branca della psicologia che studia le modificazioni del cervello a fronte di questi nuovi modi di apprendimento. Bisogna considerare che le modificazioni di questo tipo hanno tempi lunghi, ma è un fatto che con l’elettronica certe aree del cervello sono meno stimolate rispetto ad altre".

E’ un quadro inquietante, non trova?

"Voglio dire che anche il linguaggio richiede pause, momenti di collegamento tra i concetti: è un processo mentale che certi strumenti digitali non consentono più di tanto. La preoccupazione non riguarda solo l’apprendimento del linguaggio, ma la conseguente povertà verbale e della costruzione linguistica per esprimere concetti e collegamenti. E il linguaggio è importante per riflettere su quello che accade dentro e fuori di noi".

Vedo conseguenze per la società e anche la politica, o piuttosto per le condizioni delle future generazioni rispetto alla politica e all’economia. Lei non paventa una modificazione sociale futura, che forse è già iniziata?

"A livello globale non mi sbilancio. Ma a livello sociale, come conseguenza di quello che dicevamo, si può ipotizzare anche una tendenza a una maggiore impulsività delle persone. Invece di valutare cosa succede, l’eccessiva abitudine agli strumenti digitali può comportare la reazione immediata. Se tutto questo poi porterà a una modificazione collettiva non so, nei processi di trasformazione intervengono sempre le correzioni. Magari anche attraverso strumenti digitali che hanno proprie autocorrezioni. Però queste sono ipotesi. Staremo a vedere, io sono positiva".

Mi faccia capire: allora è favorevole a scrivere solo con le tastiere fin da bambini, ai cellulari...

"Non ho detto questo. Mi preoccupa la carenza del tipo di apprendimento classico che abbiamo sperimentato noi, dovrebbe essere rivalutato alla luce di quello che ha comportato e comporta per lo sviluppo della mente. Era un tipo di apprendimento che non deve essere stravolto, il digitale invece tende a far funzionare di più certe capacità mentali e non altre. I bimbi di oggi sono velocissimi, sono attratti subito dagli strumenti come cellulari e computer. Stimolano la loro curiosità, che è collegata alla produzione di dopamina, un neurotrasmettitore del piacere. E’ stato provato che più il cervello riceve dopamina, e più si attiva. Gli stimoli digitali danno questo effetto, e diventa difficile staccarsi: ecco perché si crea una forma di dipendenza".

Dunque fare lezioni in spiaggia e in pineta potrebbe essere deleterio?

"Tutte le cose sono buone e cattive a seconda di come le collochiamo e le trasmettiamo. Anche le lezioni all’aperto presentano un problema di contenuti ma pure di obiettivi: non è negativo stabilire un rapporto diretto con la natura, anzi, ma come facciamo vivere ai ragazzi il rapporto con la natura? Fornendo nomi di piante o percorsi sensoriali emotivi? Tutto dipende dall’approccio. La lezione in spiaggia non esclude quella in classe, ovvio, purché appunto l’una non escluda l’altra. E’ ottimo conoscere bene la natura ma anche sapere leggere, scrivere, pensare, e fare di conto".

In altre parole?

"La funzione dello scrivere e leggere è fondamentale per sviluppare le capacità critiche, è bene farle evolvere anche in una relazione con la natura, soprattutto per i bambini che vivono in città. Ma anche per quelli che vivono nelle nostre zone: che rapporto hanno con gli animali, con la crescita delle piante? Se abitano in appartamenti, al massimo, si rapportano al cane o al gattino di casa, e alle piante nei vasi sul balcone. Invece sperimentare l’esistenza delle stagioni, e quindi che ogni cosa ha il suo tempo, è fondamentale per l’equilibrio mentale: si torna al valore dell’attesa e della pazienza. Gli strumenti digitali stimolano il piacere, ma è solo un piacere attivato. La realtà è invece un piacere soddisfatto".

La questione del momento riguarda i cellulari in classe: sì o no?

"Decisamente no. Che necessità c’è di tenere il telefonino acceso durante le lezioni? Ci sono state esperienze di professori che hanno portato gli studenti a fare una settimana di vacanza con l’obbligo di rinunciare per tutto il tempo al cellulare, E tanti ragazzini, dopo 2 o 3 giorni, non ce la facevano più. Dove c’è una dipendenza, c’è qualcosa che non funziona. E’ questo che deve preoccupare non solo la scuola, ma soprattutto le famiglie".