
Il primo faccia a faccia all’uscita del Tribunale con il ferroviere De Angelis "Mi fece la stessa domanda quando mi licenziò: ora anche lui sa cosa si prova".
"Come va?". Una semplicissima domanda che chissà quante volte pronunciamo tutti i giorni. Ma che ieri sapeva assolutamente di scherno nei confronti di Mauro Moretti, raggiunto da quella domanda all’uscita del Tribunale di Firenze subito dopo che l’ingegnere si era visto confermare i cinque anni di condanna nell’Appello Ter del processo per la strage del 29 giugno 2009. Una domanda, quasi liberatoria, pronunciata con un sorriso a denti stretti stampato in faccia. La faccia di Dante De Angelis, il ferroviere licenziato dalle Ferrovie dello Stato all’epoca il cui l’ingegner Mauro Moretti ne era il dominus assoluto. De Angelis era il sindacalista che prima ancora di quel 29 giugno 2009, prima della strage di Viareggio, denunciava la scarsa sicurezza sulla rete ferroviaria italiana. E per questo venne licenziato. C’è un motivo per cui ieri si è rivolto con questo "Come va?" a Moretti. E ce lo spiega lui stesso. "Ce l’avevo qui da anni perché – ricorda – dopo che venni licenziato, durante una manifestazione davanti alla stazione ferroviaria di Firenze, mi squadrò da capo a piedi; mi scansionò, per così dire. E mi chiese proprio ’Come va?’. E lo fece con una tale freddezza, con tono gelido, con la superbia di chi pensava di poter fare tutto. A un mio collega sindacalista che gli chiese come mai avesse fatto licenziare De Angelis, lui rispose con queste parole che ancora mi porto dietro: ‘Io non faccio licenziare. Io licenzio’. Ecco perché oggi sono stato io a chiedergli "come va?", un modo per restituirgli quella sensazione di frustrazione e di sconforto che ho covato per così tanto tempo".
Dante De Angelis è stato il primo che ha incrociato Moretti all’uscita del Palazzo di giustizia. Dietro di lui altre decine di persone, per lo più familiari delle vittime, hanno iniziato, anche loro, a chiedergli "Come va?". Irritando Moretti che si è rivolto ai carabinieri dicendo loro: "E voi non fate niente?". E probabilmente contro tutto quel carico di dolore, contro la rabbia repressa da anni, non ci sono motivi per far intervenire la forza pubblica. Che non ha neppure impedito a Luciana Beretti di pararsi davanti a lui con le gigantografie di suo figlio Federico Battistini e della sua giovane moglie – entrambi poco più che trentenni, ritratti felici nel giorno del loro matrimonio – deceduti nel terribile rogo. Così come non è stato possibile impedire che altri familiari delle vittime, per la prima volta dall’inizio di questo lunghissimo iter giudiziario, pronunciassero frasi di scherno o di offesa nei confronti dell’uomo, che fin dall’inizio, è stato considerato il primo e il principale responsabile di tutte quelle morti. "Hai bruciato vive 32 persone! Ora credi ancora nella giustizia?". Moretti è andato via senza rispondere né replicare. Lasciando al suo avvocato Ambra Giovene il compito di commentare la sentenza di ieri: "Siamo delusi e amareggiati. L’annullamento della Cassazione – spiega il legale – aveva censurato la sentenza di rinvio del 2022 chiedendo una nuova provincia. Oggi la Corte ha confermato quella stessa sentenza che è stata cassata. C’è da chiedersi a cosa serve difendersi. Per quanto ci riguarda il processo si poteva anche chiudere qui oggi (ieri per chi legge), ma così non sarà. È evidente che faremo ricorso in Cassazione. Ma non lo abbiamo voluto noi, lo hanno voluto i giudici".