Con quella cosa lì, che non si può spiegar, “ci si nasce da bamboretti“. E, come un’eredità, la Fauzia l’ha lasciata a suo figlio Gigi Cecchi. Quella cosa lì nel bar pasticceria la Fauzia – che dal 1969 riempie di dolcezza, di risate e di famiglia la Passeggiata – è ovunque. È un sentimento. Quell’amore smisurato che lega un viareggino al suo Carnevale.
Gigi, qual è tuo primo ricordo di Carnevale?
"Il primo? Io, da piccino, al corso vestito da principe azzurro. Ma non scriverlo, che poi mi prendono in giro".
E il più bello?
"Mi ma’ (lo lasciamo orgogliosamente alla viareggina, ndr) che tira i bomboloni alle maschere dei “cari“".
A proposito, com’è nato il lancio del bombolone?
"Non mi ricordo che Carnevale era, ma quell’anno all’apertura era ospite Moira Orfei. E la Fauzia si fissò che doveva coglierla in pieno con un bombolone alla panna...".
Ci riuscì?
"No, ma le maschere iniziarono a chiamarla “Fauzia, Fauzia“. Perse di vista il bersaglio, e cominciò a lanciare bomboloni come coriandoli. Poi si è sparsa la voce e...".
E, un bombolone tira l’altro, oggi tocca a te tramandare questa tradizione. Che per il Carnevale è diventata un’istituzione, come l’alzabandiera.
"Pensa che c’è stato un periodo in cui si ipotizzava di tagliare il circuito in piazza Mazzini. Dissi “Ma che siete ammattiti, io devo lanciare i bomboloni“. Per fortuna non se n’è fatto di niente. Questo gesto è il mio Carnevale. Le maschere dai carri cominciano a chiamarmi già da piazza da piazza Mazzini, e continuano a chiamare anche la Fauzia. E per me è sempre un’emozione sentir gridare il suo nome, perché è il segno che lei ha saputo lasciare una traccia".
Mai sei mai stato dall’altra parte? Sei mai salito su un carro?
"Mai, perché quando ero ragazzo con il calcio (Gigi è stato un attaccante, quello che nella stagione ’89- ’90 trascinò il Viareggio in C2) la domenica ero sempre impegnato. E quando non c’era il pallone c’era la pasticceria. Il Carnevale noi lo facciamo qui. E poi mai dire mai".
E qual è la tua canzone preferita?
"Quando parte “Come un coriandolo“, e risento la voce di Egistino (Egisto Olivi, ndr), mi vengono i brividi. Ma non tanto per dire. E poi ci sono “I coltellacci“ di Adriano Barghetti, che mi riportano alle notti dei rioni. Quando partiva il “Cha cha cha“ sotto il palco era una bolgia. E il bello è che parte ancora oggi, con gli stessi amici di quarant’anni fa".
A proposito di canzoni e Canzonette. Malfatti o Casani?
"Io non saprei scegliere. La Fauzia invece non aveva dubbi: era per Egisto Malfatti. Anche se era amica di Enrico Casani, nata e cresciuta in via San Francesco dove lui aveva il bar Roma. Ma non dovevi toccargli il Malfatti. Terza sera, fila quattro: aveva il posto fisso e non si perdeva una Canzonetta. S’attaccava al telefono per chiamare radio Babilonia quando s’infiammava la discussione tra le due fazioni. Era innamorata".
Un amore ricambiato?
"Ma scherzi? Una sera il Malfatti si presentò sul palco del Politama, salutò il pubblico e disse “Fauzia, è un onore averti qui“. Lei face un sorriso che non potrò mai scordare. Questa storia, poi, ha continuato a raccontarla per decenni".
Ma cos’è per te il Carnevale?
"È l’espressione di Viareggio. È il collante che ci tiene uniti. È l’estate d’inverno, è più di una festa. È una speranza. Tante volte ci sentiamo dire: “Oh, ma voi viareggini pensate solo al Carnevale“. Allora io rispondo: “Pensa che fortuna che abbiamo a esse’ nati vi’...“ ".