
Edgardo, “camallo“ della Darsena
Aveva scoperto Viareggio nell’immediato dopoguerra. La Patria l’aveva chiamato: cartolina precetto, servizio militare in Marina, destinazione definitiva la Capitaneria di porto. Ripensandoci tanti anni dopo, non poteva chiedere di meglio, Edgardo Vetrò, classe di ferro 1929, originario di Castellamare di Stabia. Il giovane era rimasto colpito non solo dalla città, ma dalla voglia di rinascita della gente che usciva da anni duri, segnati dalla guerra e dal dolore. Viareggio gli entrò così nel cuore, un legame subito profondo grazie anche alla freccia di Cupido. E una volta finito di servire la patria, decise che valeva la pena restare da queste parti perché c’erano giovani come lui che guardavano con grande ottimismo al futuro. Tra l’altro, il porto cominciava a ritornare quel crocevia anche di navi mercantili, che caricavano a scaricavano merci destinati ai paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Fu così che Edgardo Vetrò entrò a far parte della Compagnia dei lavori portuali, gli scaricatori di porto, un “camallo” stando alla aneddotica di quel mestiere, che a Genova e dintorni è una vera e propria istituzione. Le mani callose dello scaricatore di porto non erano solo la testimonianza della fatica e della durezza del lavoro ma anche un biglietto da visita da esibire con il passare degli anni a chi voleva entrare a far parte di quel mondo: doveva sapere che cosa lo aspettava. Fu così che Edgardo Vetrò, sempre più calato nel lavoro, determinato e preciso, diventò “Console”, ovvero il responsabile della compagnia dei lavoratori portuali viareggini. Per quasi trenta anni, è stata la sua ragione di vita, una costante memoria storica di fatti, personaggi, aneddoti di vita e di lavoro. Ha vissuto i momenti d’oro, un vero porto di mare, un’attività frenetica, arrivi e partenze di mercantili, carichi soprattutto di marmo, legno e farina, nella banchina davanti a via dei Pescatori, fino a quella ricavata nella Nuova Darsena. Nel momento di maggiore fulgore, la compagnia portuale viareggina aveva avuto fino a cinquanta dipendenti; l’età dell’oro, con l’entusiasmo che tutte le mattine, diventava benzina nel serbatoio di chi era atteso ad una giornata di duro lavoro. Poi il lento declino del comparto mercantile nell’economia della Darsena e della città. "Le banchine erano la sua seconda casa – ricorda il figlio Domenico –: quando è andato in pensione, ogni giorno percorreva a piedi tutto il perimetro della Darsena là dove aveva vissuto e lavorato".