E sul terreno di gioco il linguaggio del calcio abbatte ogni frontiera

L'integrazione nel calcio giovanile: bambini di diverse nazionalità superano le barriere linguistiche giocando insieme. Un ponte verso l'unità.

"Verde", "rosso". Le parole come un ponte. Che unisce, e dunque crea legami. E poco importa che a essere verdi, o rosse, siano solo delle casacchine con qualche strappo di troppo che odorano di umido. L’integrazione passa anche dal mondo dello sport. Si vede bene nel calcio, il più praticato dai bambini. È vero, il caso Juan Jesus – ultimo di una (troppo) lunga serie – insegna che l’ambiente del pallone è tutt’altro che vaccinato contro il virus dell’intolleranza. Ma oltre alla violenza insita nelle parole e negli ululati delle curve, e sovente pure dei protagonisti in campo, c’è un mondo che si evolve sottotraccia.

Nelle scuole calcio, "l’altro" arriva spesso. Ragazzini africani con la pelle che sfuma dall’olivastro al nero pece. Oppure bambini ucraini con gli occhi azzurri, messi al riparo dagli orrori della guerra. Quasi sempre, i nuovi arrivati masticano qualche parola d’italiano imparata a scuola. A volte, però, l’unico linguaggio in comune è quello dei piedi che calciano il pallone. Ma la barriera linguistica, tra i bambini, è più una sfida che un ostacolo: "verde", scandiscono tirando la casacca (verde) indossata dal nuovo compagno. O ancora "destra" e "sinistra", per indicare le fasce del campo, sottolineando le parole con ampi gesti delle braccia. E se il compagno non intende, basta un buffetto sul collo del piede destro ("destro!") e poi sul sinistro ("sinistro!"). "Passa!" va molto più di moda di "tira!", ma non si diventa CR7 senza un po’ di sano egoismo. E poi, indirizzando l’orecchio nei momenti morti, si captano strutture più complesse. Il "come stai?" è seguito dalla faccia basita dell’interrogato. "Tu (pausa scenica) come stai?", a voce più alta . "Bene..." (sorrisone felice) "...o male?" (faccia triste). Un passo alla volta, senza fretta. Finché un giorno, entrando in campo, sarà lui, "l’altro", a prendere l’iniziativa: "Ciao ragazzi. Come va?".

RedViar