È morto Giuliano Vangi. Un gigante della scultura che amava la Piccola Atene: "Il nuovo Michelangelo"

L’artista visionario si è spento a 93 anni dopo una lunga malattia a Pesaro. Sgarbi: "Ora tutta l’Italia lo celebri per il valore che aveva. Era il più grande di tutti".

È morto Giuliano Vangi. Un gigante della scultura che amava la Piccola Atene: "Il nuovo Michelangelo"

È morto Giuliano Vangi. Un gigante della scultura che amava la Piccola Atene: "Il nuovo Michelangelo"

Si è spento ieri lo scultore Giuliano Vangi. È morto nella sua casa di viale Trieste a due passi dallo studio, in via Vaccaj a Pesaro. Quello studio dove concepiva le sue opere che poi a Pietrasanta realizzava: scendeva e saliva le scalette, quando ha realizzato il Cristo per la cattedrale di Seul, come un gatto. Aveva già 90 anni. Poi si stendeva per terra "perché bisogna guardare l’opera da tutte le angolature". È morto con accanto la moglie Graziella, la sua ombra e la sua musa, ed i due figli Marco e Dario.

È morto un gigante. Vittorio Sgarbi ieri lo ha definito il Francis Bacon della scultura "l’ultimo grande ed ora chiamo subito il vicesindaco Daniele Vimini affinché Pesaro, capitale della Cultura, omaggi questo grande artista con una mostra delle sue opere. L’ho conosciuto bene Giuliano Vangi – continua Sgarbi – perché ero con lui quando si inaugurò il museo tutto dedicato alle sue opere ad Osaka in Giappone, e due anni fa organizzai una mostra a lui dedicata al museo di Rovereto. Se ne va l’ultimo grande della scultura. Lo omaggi Pesaro in questo anno particolare e quindi anche tutta l’Italia".

Erano mesi che Giuliano Vangi, 93enne, stava male per una forma di leucemia. Un degradare che lo ha portato verso la morte, avvenuta ieri pomeriggio.

Come tutti i grandi era modesto: "Non so se io, come altri artisti noti, sono molto più bravo e talentuoso di altri, ma nella vita di un scultore così come in quella di un pittore, conta molto anche il tuo gallerista, gli incontri e la fortuna...", diceva. Ma la realtà era un’altra perché a a Pietrasanta, nel massimo del suo splendore creativo, dalle finestre, al suo passaggio, commentavano: "Vangi, il nuovo Michelangelo".

Una specie di Dio dell’arte era Vangi in Asia. Non solo per il museo tutto suo ad Osaka, ma anche perché le titolari di corporation a livello mondiale come le due coreane Sansumg e Mitsubishi avevano solo lui come riferimento per il mondo dell’arte. E lui ci scherzava anche "Una è una mia collezionista da tempo ed ha mie opere in un’isoletta davanti a Seul, e l’altra che ha voluto una statua che la raffigurasse è venuta in Italia con un aereo privato ed una serie di segretarie ed è stata più di una settimana a posare nel mio studio". Non cose di un secolo fa ma di un paio di anni fa. Cose che raccontava sotto il suo ombrellone nelle giornate d’estate ai bagni Marevivo. Prendeva lo stecchino di un ghiacciolo, spostava la sabbia ed inizia a schizzare quelle che poi diventavano statue come il motociclista feroce che sembrava Coriolano nel campo di battaglia.

Era l’unico artista vivente che non commetteva una eresia rimettendo mano ai luoghi sacri della chiesa. L’unico scultore chiamato dal Vaticano per raffigurare papa Giovanni Paolo II, una statua che apre il percorso dei musei Vaticani. Dire che ha lavorato dentro il duomo di Pisa, in quello di Padova, nella nuova chiesa dedicata a Padre Pio a San Giovanni Rotondo firmata da Renzo Piano, finendo con una gigantesca opera che andava dalle statue, agli arredi fino alle vetrate nella nuova cattedrale di Seul in Corea. "Non ci vado – diceva – all’inaugurazione perché è un viaggio molto duro e stancante". Una storia di un paio di anni fa quando ormai aveva superato la soglia dei Novanta. Era nato a Barberino del Mugello, Giuliano Vangi, poi aveva studiato all’Accademia di Belle arti di Firenze. Da lì, assieme a Sguanci, era arrivato a Pesaro come insegnante. Poi la partenza per il Brasile, il ritorno, quindi Graziella la donna della sua vita che lo ha inchiodato a Pesaro. "Qui sto bene diceva, le persone sono gentili e nessuno ti disturba", diceva passeggiando per via Branca assieme al suo grande amico, l’architetto Mario Botta. Amava questi luoghi. Ci stava bene e non lo nascondeva benché fosse una città divisa tra l’arte moderna e "quel suo realismo che lui riusciava a traformare e drammatizzare", come dice Sgarbi. Ironia della sorte una delle prime opere la fece per la chiesa di San Giovanni , non piacque. Un Cristo che i fedeli, siccome usciva dall’iconografia ufficiale, non vollero. "Me la ripresi", raccontava ridendo. Ma anche la città che poi attraverso la Fondazione ordinò la prima statua sua, quindi quelle che Giancarlo Selci ha dedicato alla moglie davanti ai musei Civici, quindi l’ultima opera commissionata dalla famiglia Bucci in piazzale Matteotti. "I gabbiani, il mare, con il loro volteggiare armonico nell’aria – diceva –. Uccelli che danno anche il senso della libertà quando si librano in cielo". Amava Pesaro ma anche Fano, città per la quale aveva realizzato la fontana dei giardini di Piazza Amiani. Due città, due musei. "Ho ormai tanti anni e non so se avrò poi tempo", diceva pensando alla burocrazia e alle promesse che hanno tempo biblici.

È morto un grande. È morto Giuliano Vangi.