Dipendenza da gioco. Una malattia in rialzo: "Eliminare la vergogna legata a questi disturbi"

Azzardopatia: un problema comportamentale da curare e riconoscere. Parola a Maurizio Varese, direttore dell’area specifica dell’Asl nord ovest.

Dipendenza da gioco. Una malattia in rialzo: "Eliminare la vergogna legata a questi disturbi"

Dipendenza da gioco. Una malattia in rialzo: "Eliminare la vergogna legata a questi disturbi"

di Gaia Parrini

Una partita per gioco e una vittoria casuale. È così che spesso nasce la ludopatia dei giocatori d’azzaro, da molti sottovalutata ma causa, per moltissimi altri, di danni, psicofisici ed economici. E di una malattia che, come racconta Maurizio Varese, direttore dell’area dipendenze dell’Usl Toscana nord ovest, conta, nel nostro territorio, 461 pazienti in trattamento.

Dottor Varese, quali sono le cause principali dell’azzardopatia?

"Il primo problema è la disponibilità. Dal 1992 in Italia c’è stata una grande diffusione del gioco legalizzato, che attrae soggetti predisposti al comportamento additivo, di compulsività o di disregolazione emotiva. In questi casi si può arrivare ad una vera dipendenza comportamentale, diversa dall’alcolismo o dall’abuso di droghe perché non si introduce nell’organismo alcuna sostanza, ma in cui il meccanismo neurobiologico è lo stesso".

Cosa c’è alla base della dipendenza?

"Sono tre gli elementi cardine. La differenza tra quanto scommetto e quanto posso vincere, che funziona come le droghe: più forte è l’effetto, o alta la cifra, più crea dipendenza. In secondo luogo la velocità di risposta alla giocata: più veloce è la risposta maggiore è l’effetto, e per questo la slot machine è il meccanismo perfetto. E infine l’imprevedibilità della risposta alla giocata, che crea dopamina nei diversi tipi di giocatori".

Esistono delle categorie?

"Sì. Ci sono quelli che cominciano presto, in adolescenza o sotto i 30 anni, che hanno spesso una predisposizione genetica, e una patologia psichiatrica a essa associata. Poi uomini e donne, condizionati nel comportamento, per cui il gioco, come fumare le sigarette, diventa un’abitudine. Quelli che si dedicano al gioco per fuga o per noia, che sono i più facili trattare, e i cosiddetti “grandi giocatori“, a cui non importa vincere o perdere, ma soltanto giocare".

Quali sono i primi segnali della malattia?

"Cambiamenti umorali e del carattere, con il soggetto che diventa scontroso e nervoso. Ci sono due domande fondamentali da porsi: ho l’impulso di scommettere somme sempre maggiori? Mento ai miei familiari circa l’entità del mio giocare? Se la risposta è sì, allora si ha un problema, che può provocare danni collaterali".

Ad esempio?

"Problemi economici, con un’enormità di debiti da risarcire, non solo alle banche ma, quando va male, anche agli usurai. Problematiche di tipo legale, perché spesso per procurarsi soldi si casca nell’illegalità. E difficoltà in famiglia, incomprensioni tra genitori e figli, e all’interno di matrimoni, che portano a frequenti divorzi e separazioni".

I familiari che ruolo hanno durante la terapia?

"Sono fondamentali, quando ci sono. Per un periodo di tempo diventano i gestori dei soldi della persona malata, che deve giustificare loro le spese di riferimento. Una delle tappe di recupero è infatti educare le persone malate al valore del denaro".

Insieme alla riabilitazione, come si può contrastare questa dipendenza?

"Il primo concetto da capire per non diventare vittime del gioco è che l’abilità del giocatore non c’entra e che esiste una sola regola matematica nel gioco d’azzardo: più giochi più perdi. Chi, invece, crede che ci si possa arricchire è un soggetto a rischio.

Ma deve esserci, soprattutto, una normalizzazione delle dipendenze"

In che modo?

"Deve essere eliminato lo stigma legato a queste problematiche. Una persona con una dipendenza comportamentale è una persona con una malattia, di cui non deve essere colpevolizzata, sentirsi in colpa o vergognarsi. Ma deve sentirsi libera di chiedere aiuto, alla famiglia o a servizi come i nostri con professionisti formati. E una volta fatto, però, deve decidere di curarsi solo a patto, ovviamente, di non giocare più".