Da leader di partito a scrittore: "Ho lasciato la politica attiva. Ma il mio impegno civile continua"

Nel volume un atto d’amore verso il giornalismo di qualità: presidio di democrazia

VIAREGGIO

Walter Veltroni è stato ed è tante cose. Esponente di spicco della Federazione Giovanile Comunista Italiana, giornalista professionista dal 1995, ministro della Cultura e vice Presidente del Consiglio dei Ministri, segretario dei Democratici di Sinistra (DS), sindaco di Roma dal 2001 al 2008, fondatore e primo segretario del Partito Democratico, direttore dell’Unità. Oggi è regista e scrittore.

Veltroni, come lei, il suo libro La condanna (Rizzoli) è tante cose insieme: un atto d’amore per il giornalismo, la lettura di una pagina della nostra storia e anche un paio di lenti con cui leggere il presente.

Parliamo del giornalismo. Il primo amore non si scorda mai?

"È un amore per la libertà. Quando c’è il giornalismo c’è la libertà. Non a caso quando ci sono dittature aboliscono i giornali e mettono i giornalisti nelle condizioni di non nuocere. Ho sempre avuto un’idea molto alta, etica del giornalismo. Per questo nel romanzo l’ho voluta raccontare attraverso questa doppia figura, un ragazzo di 24 anni e un maestro che non smette di avere passione per il mestiere della sua vita".

Eppure, come racconta Fabiani il caposervizio che incarica Giovanni di raccogliere il materiale su Donato Carretta, il giornalismo è profondamente cambiato?

"È cambiato nel senso che sono moltiplicate le fonti di informazione che, però, spesso non sono giornalistiche. Alcune che hanno una capacità di manipolazione come quelle create dall’intelligenza artificiale, oppure sono manipolate dall’appartenenza a questo o quel recinto, rissoso e poco incline al dialogo , all’inclusione. Poco capace di frequentare la curiosità. Ecco quindi che in questa infodemia, l’informazione di qualità ritorna fondamentale. Anzi ne amplifica la funzione di garanzia, di serietà. Quando leggo una notizia voglio vedere chi l’ha riportata e questo rappresenta la differenza, la qualità e l’indipendenza".

Ma il giornalismo non è moribondo?

"Assolutamente no. Certo il giornalismo della carta stampata come l’abbiamo conosciuto noi è in crisi. Anche se poi quando si fa il conto delle copie cartacee e di quelle digitali si scopre che le tirature non sono certo distanti da quelle di una volta. E di certo non è finito il giornalismo di qualità, quello televisivo e nemmeno quello d’inchiesta".

Giovanni ha solo 24 anni e ai ’’fintiallegri“ preferisce i libri come gli ha insegnato il padre, è per questo che è precario nel lavoro e nella vita?

"Un po’ sì e un po’ no, perché oggi il lavoro è fondato sul principio della precarietà. Tutto è veloce, tutto si consuma. Io credo che bisogna ridare un po’ di certezze e di speranza. La paura è l’elemento più pericoloso per la società attuale".

Veltroni perché, a un certo punto, ha lasciato la politica attiva e ha deciso di fare il regista e lo scrittore?

"Guardi si era conclusa una stagione. Ho cercato di fare qualcosa in cui credevo, un sogno che avevo sin da piccolo. Ma le condizioni erano cambiate e ad un certo punto mi sono fermato e mi sono dedicato alle altre passioni che ho sempre avuto. Ma non ho interrotto il mio impegno civile. Anzi, lo continuo in forme diverse dalla politica attiva".

Dove sta andando il mondo?

"Bah, personalmente non sono mai stato preoccupato come oggi. Si stanno allineando male dei pianeti: la crisi economica, la guerra, la crisi ambientale. Tutto questo richiederebbe una grandissima leadership mondiale, ma non è non quello che sta avvenendo".

Tommaso Strambi