A Battistelli il Leone per una carriera libera

Il compositore e guida artistica del Pucciniano sarà premiato a Venezia. "La mia indipendenza? A volte scomoda, ma me la tengo stretta"

Migration

di Ludovica Criscitiello

Un fulmine a ciel sereno. Ma di quelli che scuotono e sorprendono e che ha la forma di un Leone d’oro alla carriera della musica alla Biennale di Venezia per Giorgio Battistelli. Compositore e direttore artistico con una lunga carriera alle spalle iniziata negli anni ’70, fautore di progetti di teatro musicale sperimentale, tra cui "Jules Verne" ed "Experimentum Mundi" divenuti punti di riferimento nel settore. Direttore artistico, tra gli altri, del Cantiere Internazionale d’Arte di Montepulciano, dell’Orchestra regionale toscana, della stessa Biennale di Venezia nella sezione musica. Dal 2020 dirige la programmazione artistica del Festival Puccini a Torre del Lago. La notizia del Leone è arrivata tra febbraio e marzo di quest’anno.

Domani è il grande giorno per la consegna del Leone.

"Ora che si avvicina il momento però devo dire che un po’ di emozione mi sta prendendo".

Ma se lo aspettava questo riconoscimento?

"Sinceramente no. Anche perché non mi considero un compositore "vecchio", è stata una bellissima sorpresa. È la Toscana che ho nel cuore ad avermi portato fortuna".

Il critico francese Daniel Charles l’ha definita "un musicista geloso della sua indipendenza".

"Sì lo sono. Ma non soltanto nella scrittura, anche nella programmazione. Sono abituato alla massima indipendenza e imprevedibilità. Applicare la creatività, è un atteggiamento mentale filosofico".

Di resistenze ne avrà incontrate.

"Sì certo, e le incontro ancora. Capita che alcuni mi dicano che la musica che sto scrivendo sia troppo moderna, sperimentale, politicamente scomoda però se sono convinto di una cosa vado fino in fondo. Una volta scrissi un’opera tratta dal romanzo dello scrittore tedesco Ernst Jünger, che è stato spesso collocato ideologicamente in maniera sbagliata, e il Teatro dell’Opera di Francoforte mi chiese di cambiare. Non lo feci perché ero convinto della validità del soggetto".

Experimentum Mundi chiuderà la Biennale quest’anno. È un’opera che si perpetua nel tempo.

"Non abbiamo mai smesso di portarla in scena. Siamo alla terza generazione. Pensi che ormai gli interpreti di oggi sono i nipoti degli artigiani che lo hanno fatto con me la prima volta".

Cosa l’ha segnata particolarmente nel corso della sua carriera?

"Sicuramente l’incontro con Luciano Berio, Karlheinz Stockhausen, Hans Dermer Hense, tre compositori da cui preso tutto ciò che potevo prendere. Poi intellettualmente quello con Ernst Jünger e spiritualmente quello con Padre Bernardo".

Ha preso la direzione del Puccini nel 2020, in piena pandemia. Una bella sfida. Ha avuto un po’ di paura?

"Esatto. Volevo inventare una nuova forma di ascolto, di proporre i concerti, il teatro. Oggi gli spettatori hanno bisogno di nuovi spazi e modalità diverse di ascolto, non si può pensare più al concerto soltanto in termini statici. E soprattutto volevo che il festival fosse in profonda connessione con il territorio, che lo facesse crescere. Il Puccini è internazionale, nazionale ma prima di tutto profondamente toscano".

Ha pensato a cosa dirà a Venezia al momento della consegna?

"Penso che improvviserò, è quello che so fare meglio".