
di Erika Pontini
Timbri falsi sul passaporto poi fatti sparire, attestati di cessione fabbricato contraffatti, certificati medici farlocchi per attestare la necessità di cure mediche e provare la necessaria permanenza in Italia o, ancora, stati di famiglia falsificati e fittizi impieghi denunciati da datori di lavoro: è un lungo elenco di illeciti per consentire ai clandestini di ottenere illegalmente il permesso di soggiorno e restare in Italia quello contestato dalla procura di Perugia a sedici persone tra stranieri e compiacenti datori di lavoro, alla conclusione della tranche di indagini contro l’avvocato Mauro Bertoldi (già arrestato anche per corruzione), fulcro dell’indagine e all’impiegata civile della questura di Perugia, Anna Terenzi.
Pesanti le accuse: induzione indebita a dare o promettere utilità, dall’abuso d’ufficio, al falso ideologico, al peculato (per aver preso dalla questura le marche da bollo), alla contraffazione di pubblici sigilli al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Per molte pratiche il disinvolto legale si faceva promettere 500 euro di compenso per truccare le carte, far chiudere gli occhi alla fidanzata in questura e ottenere l’agognato permesso.
Tutto nasce dalla vicenda di una donna clandestina residente a Valtopina per cui viene denunciata falsamente la scomparsa del passaporto ai carabinieri che, invece, verificheranno lo stato di clandestinità della donna e la inviteranno a presentarsi in questura per l’espulsione. "Ma se vogliono vedere i passaporti originali Mauro... deve sparire quello..." dicevano i due indagati principali senza sapere di essere intercettati.
Lo scandalo-Bertoldi esplode a fine 2019 con tre filoni di indagine. Uno, sulla prostituzione attualmente in fase dibattimentale, il più deflagrante per la corruzione in atti giudiziari che ricomincerà il 24 maggio davanti al gup di Firenze che dovrà decidere sulla richiesta di rinvio a giudizio e nel quale, oltre al legale di Todi, sono imputati il giudice civile Tommaso Sdogati, già in servizio al tribunale di Spoleto, ancora sospeso in via disciplinare e la compagna, Nicoletta Pompei, avvocato, all’epoca dei fatti socia di studio di Bertoldi (entrambi difesi dall’avvocato Guido Rondoni).
La terza tranche, appunto, è quella relativa ai permessi di soggiorno: indagine condotta dal pubblico ministero Gemma Miliani con i carabinieri del comando provinciale.
Bertoldi è assistito dagli avvocati Luca Maori e Aldo Poggioni e Terenzi dall’avvocato Nicola Di Mario.
Ai clienti a cui servivano i permessi Bertoldi – era emerso dalle intercettazioni – avrebbe chiesto una parcella extra (500 euro a pratica perché si "rischia per fare una cosa così"). Tutto grazie alla fidanzata impiegata all’ufficio immigrazione della questura. "Le fanno un culo così perché ha fatto finta di aver visto il passaporto della moglie... Ultimamente sto a fà i soldi grazie a lei!! Eh Nicolè... Se non capita qualcosa stiamo a fà i soldi grazie a lei!!", diceva alla socia di studio. "Se non c’è lei io certe cose non le posso proprio fa’".