
di Donatella Miliani
Il Salotto buono della città, come amavano e amano definire Corso Vannucci i perugini, era fino a qualche anno fa il luogo per eccellenza dello shopping e della socializzazione, specie nelle sale da thé degli storici Caffé. Locali in cui le signore, ma anche i signori, si ritrovavano specie d’inverno per quattro chiacchiere davanti a una tazza di caffè o al cocktail dell’aperitivo dopo la passeggiata quotidiana o gli acquisti nei negozi d’alto artigianato o nelle esclusive boutique del centro.
Era l’epoca delle botteghe come Ceccucci, e dei caffè come il Falci, il Ferrari, il Medioevo. Quelli in cui dalle vetrine di Sandri facevano bella mostra dolci ghiotti ma anche autentici capolavori d’arte, golosissimi. Quelli in cui per comprare tessuti da trasformare in capi glamour, si entrava da Veneziani. Mentre gli uomini cercavano capi e scarpe all’inglese in via Mazzini da Sir Charle,s dove fare due chiacchiere sullo stile ma anche sui grandi del Jazz con Carlo Pagnotta che di quella boutique era il titolare, era un ’valore’ aggiunto.
Via via nel tempo, vuoi per la crisi economica e dei consumi, vuoi per l’avvento dell’e-commerce che ha spostato l’acquisto direttamente sul divano di casa, artigiani e singoli negozianti non sono più riusciti a raggiungere quei fatturati necessari a coprire le spese dell’affito dei locali (altissime) e quelle del personale. Per cui molti hanno scelto di delocalizzare in periferia, mentre altri sono stati costretti a chiudere. E così la ’faccia’ che Corso Vannucci oggi mostra di sé a residenti e visitatori è diventata molto diversa da quella di un tempo. Qui, come altrove, sono molte le catene nazionali sbarcate sull’acropoli dove un flag shop store (che fa immagine e comunicazione) è comunque considerato, a fronte di affitti elevati, più che un costo un ’investimento’.
E mentre questi negozi aprivano, altri, storici, arretravano abbassando le saracinesche per non riaprirle più. È dei giorni scorsi la notizia che persino un nome storico come “Andrei“ ha deciso di ’alzare bandiera bianca’.
"Un peccato" commenta Nicoletta Spagnoli, amministratore delegato e presidente della “Luisa Spagnoli“, una delle poche griffe che ha resistito agli eventi ed è passata indenne attraverso le crisi rimanendo un punto di riferimento stabile in Corso Vannucci. "Non ho nulla contro le multinazionali della biancheria o delle caramelle – dice l’imprenditrice –, ma è chiaro che finiscono con il banalizzare l’offerta. Di certo cala l’appeal. Perché uno dovrebbe salire in Corso Vannucci per comprare prodotti che trova tranquillamente in qualsiasi centro commerciale con comodo parcheggio annesso?. Un tempo non era così. Si saliva in centro per lo shopping, di qualità, e i locali in cui, specie d’inverno, ci si incontrava tra amiche per un thè, un apertivo e il piacere di stare insieme".
Cosa ricorda di quegli anni?
"Le vetrine di negozi unici, i profumi e l’eleganza delle sale da the del bar Falci, così come del Ferrari o Sandri e il Medioevo. Oggi ce ne sono pochissime di quel genere. Va meglio d’estate perchè ci sono i tavoli all’aperto".
Insomma per lei se Andrei chiude non va via un concorrente?
"No, è il contrario. Va via un punto di attrazione del centro. Io sono favorevole ai negozi storici, a quelli che offrono prodotti particolari, anche multibrand ma con un appeal diverso da quelli che si trovano nei centri commerciali. Sono per i negozi di artigianato di qualità, quelli di ceramica ad esempio, come era Ceccucci. Quando chiuse mi dispiacque molto, esattamente come quando ad abbassare la saracinesca fu Sir Charles di Pagnotta, un bellissimo negozio da uomo o quando a farlo è stato Fagioli. Ma ricordo anche la presenza del fioriaio Sereni. Insomma, l’offerta a quei tempi in Corso Vannucci era variegata: dal negozio di scarpe, all’abbigliamento, dalla gioielleria al fioraio al negozio di tessuti e poi luoghi d’incontro raffinati. Salire in centro era divertente, non c’era solo biancheria intima...".
Ha mai pensato di andarsene anche lei?
"Assolutamente no. Il primo negozio Luisa Spagnoli di Corso Vannucci aprì nel 1940, dove oggi c’è un negozio di intimo. Poi a fine anni ’90, quando il bar Ferrari che era lì cambiò sede, ci trasferimmo dove siamo ora e dove continueremo a rimanere".
Cosa manca o cosa ha perso il centro di Perugia?
"L’appeal, ripeto. Si dovrebbe fare di più per l’acropoli, in modo da dare una buona ragione ai commercianti per fare investimenti qualificanti proprio qui. Se scappano, come succede ormai da anni, una riflessione è d’obbligo. Affitti impossibili, anche quello è un freno, Perugia non è Milano. Serve aiutare a proporre un’offerta in grado di attirare gente. Qualche servizio in più. Una volta, oltre al Corso, venire in centro significava una full immersion nello shopping anche nelle vie limitrofe. Oggi lì ci sono quasi solo saracinesche abbassate".
L’augurio?
"Io resto orgogliosamente in Corso Vannucci sperando che arrivi compagnia. Bei negozi che saranno ben accolti da tutti, da noi in primis".