
Gli “ascolti“, che hanno portato gli inquirenti a scoprire le “sponsorizzazioni“ nelle prove per le assunzioni, erano in corso per un altro filone d’inchiesta.
Spiati, ma per un altro fatto. Se le intercettazioni telefoniche e ambientali hanno portato gli inquirenti a scoprire gli "aiutini" degli indagati verso i candidati "sponsorizzati" ai concorsi, è stato perché li stavano già ascoltando, mentre cercavano le prove di altre presunte irregolarità in merito ad appalti e forniture in ambito sanitario.
Una delle più accese battaglie legali durante il processo Concorsopoli - conclusosi il 3 luglio con le condanne per associazione a delinquere dell’ex sottosegretario all’Interno Gianpiero Bocci, dell’ex assessore Luca Barberini e dell’ex direttore amministrativo dell’Ospedale di Perugia Maurizio Valorosi e la condanna per falso, abuso d’ufficio e rivelazione di segreto d’ufficio della ex governatrice Catiuscia Marini (oltre alle 18 condanne di altrettanti imputati, comprese tra i 10 mesi e i 2 anni, con pena sospesa) - è stata proprio sull’ammissibilità di quelle prove, che di fatto hanno costituito uno dei cardini del processo ai vertici della politica e della sanità umbra nel 2019.
Con il recente deposito delle oltre 1200 pagine di motivazioni emerge anche il perché i giudici abbiano ammesso nel processo quelle frasi "rubate". Il primo a finire nella rete della Guardia di Finanza fu Maurizio Valorosi; è ascoltando lui che gli inquirenti risalirono alle vicende dei concorsi ma - scrive la Corte - vi era un "legame sostanziale tra il reato in relazione al quale l’autorizzazione è stata emessa e il reato, o i più reati, emersi grazie ai risultati delle intercettazioni medesime" questi ultimi oggetto delle contestazioni del processo Concorsopoli.
Indagavano su reati di corruzione, turbata libertà degli incanti e turbata libertà di scelta del contraente e, invece, hanno scoperto "un sistema caratterizzato dalla sistematica violazione dei moduli procedimentali di evidenza pubblica" proseguita nei reati di associazione, falso ideologico e materiale, abuso d’ufficio e rivelazione di segreto.
Si tratta dunque - secondo i giudici - di un medesimo contesto criminale che "giustifica un’indagine unitaria", nell’ambito della quale "contrariamente a quanto sostenuto dalle difese è possibile ravvisare una connessione oggettiva, in quanto tutti i reati sono stati commessi in esecuzione di un medesimo quadro criminale in quanto inseriti in un sistema consolidato evidentemente preordinato".
In altre parole, già nelle prime fasi delle indagini sarebbero emersi "indici sintomatici di un programma criminoso sufficientemente delineato ex ante ancorché aperto, non legato a circostanze ed eventi contingenti o occasionali". Dai concorsi per la copertura dei posti di lavoro all’assegnazione degli appalti, secondo i giudici l’accordo criminoso non faceva distinzione e agiva con una gestione organizzata di procedure illecite.
Due tasselli di un domino, e un rapporto, quello tra la contestazione del reato associativo e l’ammissibilità delle intercettazioni, che sarà al centro dei ricorsi già annunciati dalle agguerritissime difese.