Cacciatore ucciso, Piero Fabbri confessa: "Sono stato io, vorrei essere morto"

Negato il depistaggio. Le risposte al giudice: "Pensavo fosse un cinghiale. Poi ho avuto paura di dirlo alla famiglia"

Davide Piampiano e Piero Fabbri

Davide Piampiano e Piero Fabbri

Perugia, 1 febbraio 2023 - "L’ho ucciso io, ho visto qualcosa muoversi, credevo fosse un cinghiale e ho sparato". Piero Fabbri, 56 anni, in carcere, accusato dell’omicidio volontario di Davide Piampiano, ha risposto alle domande del gip Piercarlo Frabotta e ha fornito la sua ricostruzione dei tragici momenti del colpo esploso e quelli subito successivi. "Ha riconosciuto l’evidenza" racconta l’avvocato Luca Maori, che difende Fabbri, e che, al termine dell’udienza che si è svolta nel carcere di Capanne dove l’uomo è detenuto, ha chiesto la revoca della custodia cautelare . "Non c’è stato alcun depistaggio – sottolinea il legale –, sono le immagini della telecamera a dirlo: il mio assistito ha cercato di tamponare la ferita e ha dato l’allarme chiamando un amico. Il fucile del povero Davide lo ha scaricato per questioni di sicurezza". E le “bugie“ raccontate agli investigatori che lavoravano per far luce sulla tragedia sarebbero state dette dal 56enne perché "aveva paura di raccontare la verità ai genitori di Davide", precisa ancora l’avvocato Maori. “Bugie“ tirate avanti per giorni: quando ha partecipato al funerale del rgazzo, quando andava a casa Piampiano a consolare i familiari. "Vorrei morire. Vorrei essere morto io, la mia vita è finita": ha detto ieri Fabbri al giudice durante l’udienza.

La Procura (le indagini sono coordinate dal procuratore capo Raffaele Cantone) ha ribadito la propria tesi, la cui "conferma granitica" arriva dalle immagini della GoPro, la microcamera che Davide indossava in testa anche quella maledetta sera: amava rirprendere le battute di caccia a cui parteciava e poi condividere quelle immagini sui social. Immagini che hanno raccontato la sua morte agli investigatori.

Secondo la Procura, Fabbri avrebbe omesso di contattare il servizio di emergenza sanitaria e di mettere in atto tutte le iniziative necessarie a salvare la vita al 24enne, accettando il rischio che morisse (da qui l’accusa di omicidio volontario con dolo eventuale). La prima telefonata, dicono gli investigatori, è stata fatta più di quattro minuti dopo che il proiettile aveva raggiunto Piampiano: il 56enne telefona all’amico, poi alla moglie. Chiamate che secondo la Procura servono a ribadire la sua ricostruzione della tregedia, ovvero che Davide si sia sparato da solo. Diciassette "lunghissimi" minuti di agonia nel corso dei quali il 24enne, spiegano gli inquirenti, "ulra di dolore in maniera straziante". Se fossero stati subito avvisati i soccorsi, secondo l’accusa, vi sarebbe stata "una concreta chance" di salvare la vita al ragazzo.

Sulla richiesta dell’avvocato Maori si pronuncerà il giudice Frabotta. Poi, però, tutti gli atti successivi saranno di competenza della magistratura di Firenze alla quale il procedimento è stato trasmesso per competenza: la madre di Davide, infatti, è infatti giudice onorario al Tribunale di Spoleto.

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