Appalti per il servizio di lavanolo. La Corte dei Conti ribalta il primo grado: tutti assolti

I nove dirigenti ed ex dirigenti della sanità regionale non devono più risarcire per i presunti sprechi l’azienda ospedaliera di Perugia e l’Asl Umbria 1 con 5 milioni e mezzo di euro .

Appalti per il servizio di lavanolo. La Corte dei Conti ribalta il primo grado: tutti assolti

Appalti per il servizio di lavanolo. La Corte dei Conti ribalta il primo grado: tutti assolti

La sentenza di secondo grado ribalta completamente la situazione. I nove dirigenti ex dirigenti della sanità regionale, condannati a pagare un risarcimento di 5,5 milioni di euro per i presunti sprechi nei contratti per il servizio di lavandolo e di sterilizzazione della biancheria utilizzata nell’Azienda ospedaliera di Perugia e all’Asl 1, non devono più risarcire le due aziende. Lo ha deciso la sezione d’appello della Corte dei conti che ha così assolto Manuela Pioppo, Diamante Pacchiarini, Carlo Nicastro, Walter Orlandi, Emilio Duca, Maurizio Valorosi, Pasquale Parise, Doriana Sarnari e Andrea Casciari, attuale direttore dell’Azienda ospedaliera di Terni. Secondo quella che era la ricostruzione dell’accusa, gli imputati avrebbero provocato un danno economico con le "reiterate e illegittime proroghe di contratti per il servizio di lavanolo e di sterilizzazione" sottoscritti, nel corso di più anni, tra Azienda ospedaliera di Perugia e l’Asl 1 con la società Sogesi. Il danno, secondo l’accusa, si sarebbe verificato perché, con la proroga, le due aziende avrebbero continuato a pagare un prezzo superiore a quello che avrebbero potuto sostenere se fosse stata effettuata una procedura comparativa. "Non c’è dubbio – rilevano i giudici della Corte del conti – che le attività di programmazione, progettazione e ideazione a monte, e quella di effettiva realizzazione della nuova procedura a evidenza pubblica a valle, siano state gravemente carenti e insufficienti". La sezione aveva condannato gli imputati a risarcire tra 200mila e 875mila euro. Per la sentenza di secondo grado, invece, la condanna presentava una carenza di motivazione in particolare nella valutazione della norma di riferimento al tempo e nei crititeri per giudicare la convenienza delle proroghe.

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