Giordano Bruno Guerri: "Colle è un segreto italiano da svelare. E merita il palcoscenico della cultura nazionale". C’è un’Italia che ancora si nasconde tra le pieghe della storia e dell’identità. Un’Italia che ha prodotto bellezza, arte, industria, pensiero. E che oggi, con coraggio, rivendica il suo posto sulla scena. Giordano Bruno Guerri, storico e intellettuale tra i più autorevoli, ha scelto di sostenere la candidatura di Colle di Val d’Elsa a Capitale Italiana della Cultura. Lo fa con passione e visione. Perché, come ci racconta, "Colle ha tutto. Solo che ancora non tutti lo sanno".
Guerri, cosa rende Colle un luogo così speciale?
"Non c’è un solo aspetto. Sono molti e tutti insieme creano un’identità potente. Partiamo dalla storia: Colle di Val d’Elsa viene citata da Dante nella Divina Commedia. Già questo dovrebbe bastare a far suonare un campanello. Ma c’è molto di più: è una città che attraversa i secoli con coerenza, dignità e intensità. È un luogo che ha saputo dare spazio a figure come Maccari e Bilenchi, artisti e intellettuali che hanno lasciato un segno profondo nella cultura italiana del Novecento. Poi c’è la bellezza, che qui non è mai esibita, ma sempre autentica. Colle Alta, con il Duomo, la Porta Nuova, l’impianto medievale che si arrampica sulla collina come un racconto di pietra. Nel rinascimento Colle diventa sede vescovile e, quindi, città. Colle Bassa testimonia un’evoluzione urbana coerente, viva. Infine c’è l’Elsa, un fiume che è paesaggio ma anche memoria, un’arteria d’acqua che collega natura e cultura".
Cultura ed anche operosità? "Naturalmente, c’è l’anima industriale che ha un legame profondo con la cultura. L’industria, a Colle, è cultura nel senso più pieno. Non è solo produzione: è sapere, è tradizione, è identità. Il cristallo, per esempio, non è solo un vanto locale ma un’eccellenza internazionale. Il museo del cristallo racconta una civiltà fatta di maestria e visione estetica. E prima ancora, nei secoli passati, c’era la carta: un’industria pre-industriale, se vogliamo, che già allora dava forma alla materia della conoscenza. Colle è un laboratorio perfetto in cui antico e moderno non si scontrano, ma si abbracciano".
In che modo questa candidatura può incidere sull’immagine della città a livello nazionale? "Oggi Colle soffre di una sottovalutazione grave a livello nazionale. Non è conosciuta quanto merita, ed è un’ingiustizia che non possiamo più permetterci. Il nostro Paese ha bisogno di raccontare anche i suoi centri meno celebri, ma densissimi di contenuto. Colle può diventare un simbolo nazionale di rinascita culturale, una capitale vera – non solo per un anno, ma per un’idea di Italia più ampia e diffusa. La sua candidatura è un’opportunità per far emergere una Toscana diversa, più profonda, meno turistica, ma altrettanto straordinaria. Un’Italia che si costruisce nei luoghi veri, non nelle cartoline"
Com’è nato il suo coinvolgimento nel progetto?
"Tutto è iniziato grazie alla lungimiranza dell’amministrazione. Il sindaco Piero Pii e l’assessore alla cultura Daniele Tozzi hanno capito subito che per questa sfida serviva una strategia solida e un sostegno competente. Ci siamo incontrati oltre un anno fa e da allora il dialogo non si è mai interrotto. Abbiamo fatto sopralluoghi, incontri, messo in fila idee e visioni. Non è un’operazione di facciata: è un lavoro profondo, che ha l’ambizione di restituire a Colle la sua centralità culturale".
In che direzione si muoverà ora la candidatura?
"Il percorso è in pieno sviluppo. C’è ancora molto da fare, ma le basi sono solide. Il vero obiettivo non è solo vincere il titolo – anche se sarebbe una legittimazione importante – ma fare in modo che questo processo accenda luci durature. Coinvolgere le città e i territori circostanti sarà fondamentale: non si vince da soli. Come del resto il grande coinvolgimento che sta avvenendo per la popolazione. Colle può diventare una piattaforma culturale per tutta l’area, un luogo dove far dialogare esperienze, patrimoni, linguaggi".
E lei, cosa porterà in questo percorso?
"Una visione. E un po’ di esperienza, certo. Ma quello che conta davvero è che la comunità ci creda. La cultura non è solo qualcosa che si promuove: è qualcosa che si vive. A Colle c’è fermento, si sente e mi convince ogni giorno di più del fatto che la sfida che stiamo affrontando è non solo possibile, ma doverosa. Per Colle e per un’Italia che non vuole dimenticare i suoi tesori nascosti".