Le grandi infrastrutture. Il porto, quella visione del ’700 che porta la firma di un francese

Milet de Moreau voleva costruire uno scalo per Marina di Avenza, ma il progetto si arenò. Vari tentativi, fino a inizio del secolo scorso: i pontili lasciano spazio all’idea del deputato Chiesa.

Amato (è fonte di lavoro) e odiato (è accusato dell’erosione del litorale), tollerato (ormai c’è) e avversato (è additato come fonte di inquinamento acustico e ambientale), il porto è Marina, gli appartiene e ne è parte, e i traffici marittimi dei secoli scorsi sono all’origine stessa della nascita del borgo marinaro. Per secoli i marmi sono caricati tirando a secco i navicelli sulla spiaggia da dove poi partono alla volta dei grandi porti di Genova e Livorno per essere trasbordati su bastimenti di ben maggiori dimensioni.

Il primo tentativo di cui si ha notizia risale a metà ‘700 a firma del francese Milet de Moreau: un porto da costruirsi alla Marina di Avenza dopo avere scartato la foce del Parmignola perché troppo vicina al confine con Genova. Il progetto prevede bastioni, mura, cantieri per la costruzione del naviglio, il bacino per gli attracchi, due moli, una diga foranea a protezione della rada. Ma l’anno successivo la morte del Moreau blocca il progetto e i successivi anni decretano il definitivo abbandono dell’idea anche a causa del rapido insabbiamento.

Nel 1845 c’è un nuovo tentativo a cura dell’ingegnere Sigismondo Ferrari, un progetto che fallisce nello stesso anno a causa della impossibilità di contrastare le violente mareggiate. La svolta arriva qualche anno dopo, con l’imprenditore inglese William Walton che da Livorno si trasferisce a Seravezza e quindi, fiutando affari con il marmo, nel 1840 sbarca a Carrara. Walton chiede e ottiene l’autorizzazione per la costruzione di un pontile caricatore su palafitte, lungo un centinaio di metri, dotato di due binari a scartamento normale per carri ferroviari trainati da animali per trasportare i marmi dal proprio deposito, nei pressi della spiaggia, ai navicelli.

Il pontile è realizzato tra il 1851 e il 1855 finanziato da un gruppo di industriali inglesi, dotato anche di una gru per il sollevamento dei marmi. All’inizio del secolo successivo la sua lunghezza raddoppierà, mentre altri depositi di marmi si collegheranno al pontile. Intanto anche gli industriali carraresi, capeggiati da Filippo Binelli, nel 1871 danno vita ad un altro pontile più a levante del primo, mentre a ponente ne sorge un terzo nel 1904 per iniziativa di Thomas Pathe, lungo trecento metri e direttamente collegato alla ferrovia marmifera che intanto era stata costruita, non senza ostacoli, collegando i bacini marmiferi alla stazione di San Martino, e poi questa alla stazione di Avenza a quindi alla Marina.

E dopo l’età dei pontili arriva il vero porto: un progetto prende vita alla vigilia del primo conflitto mondiale, ma la spinta decisiva arriva nel dopoguerra, dal deputato milanese Eugenio Chiesa, un repubblicano eletto nel collegio locale. Il progetto dell’ingegner Inglese prevede due moli, uno a ponente e uno a levante, entrambi lunghi poco più di 500 metri, una diga frangiflutti di oltre 700 metri, una banchina. La profondità dello specchio d’acqua è prevista a 9 metri. I lavori (costo quasi 9 milioni di lire) iniziano nel 1922 ma avanzano a rilento. E’ solo nel 1940 che il porto si presenta con i due moli e la diga foranea, mentre all’interno ci sono sempre i due pontili Walton e Binelli (il Pathe era stato abbattuto in precedenza per la costruzione della diga di ponente), il primo con quattro gru, il secondo con tre, entrambi con due binari ferroviari collegati alla rete ferroviaria e ai depositi di marmo. Nel corso della prima parte della seconda guerra mondiale il porto lavora quasi esclusivamente in funzione della neonata zona industriale, ma alla fine del 1943 i tedeschi prima portano via le gru, quindi l’anno successivo minano tutta la struttura che viene fatta brillare a settembre con un centinaio di mine. Terminata la guerra, iniziano anche i lavori di ripristino: nel 1946 i moli, nel 1947 la diga foranea, nel 1948 le banchine. Dagli anni ’50 del secolo scorso il porto cresce nei traffici, alterna momenti di intenso traffico ad altri di fiacca, ovviamente non può competere con i vicini porti di La Spezia e Livorno, è contestato da chi lo accusa essere causa dell’erosione del litorale, ma è sempre vivo.

Appartiene allo skyline di Marina e tutti i carraresi sono molto affezionati alla passeggiata del molo di ponente (quella sul molo di levante venne chiusa molti decenni fa per collegare il nuovo piazzale Città di Massa alla banchina) una delle poche dighe foranee di porti mercantili in Italia aperte al pubblico. E attendono con ansia la sua riapertura con il nuovo look.

Maurizio Munda