Crescere tutti insieme La cultura della pace nasce da una visione alta

Don Andrea Bigalli, referente per la Toscana dell’associazione Libera "Ricordo don Milani: ognuno deve sentirsi responsabile di tutto".

di Sandra Nistri

Ruota attorno a valori altissimi come pace e giustizia sociale l’obiettivo 16 dell’Agenda Onu. Temi più che mai attuali con il conflitto russo-ucraino in corso e tante altre ‘guerre dimenticate’ nel mondo. Ne parliamo con don Andrea Bigalli referente regionale per la Toscana dell’associazione Libera e docente dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose della Toscana. L’obiettivo 16 punta alla "creazione di società pacifiche e più inclusive per uno sviluppo sostenibile": come si può innescare questo processo?

"Penso che questa visione, che rimane necessaria, non debba essere considerata una visione utopica. L’elemento fondamentale è il fattore del futuro: bisogna ricominciare a pensare una giustizia che non è solo orizzontale rispetto a quanto stiamo vivendo generazionalmente. Bisogna estendere lo sguardo più avanti perché, davvero, il concetto di pace deve essere coniugato con il concetto di giustizia ambientale e deve essere letto come atto di rispetto nei confronti delle generazioni che saranno. Occorre probabilmente sacrificare qualcosa di non essenziale, forse anche il nostro livello di consumi non è così urgente se il voler comprare molte merci a prezzo basso va a scapito delle condizioni umane in cui si fa lavorare chi le produce, è un elemento educativo che bisogna introdurre".

Quindi, anche su temi a livello mondiale come questi, è fondamentale la responsabilità personale?

"Certo, bisogna entrare nella sfera che questi sono problemi che hanno bisogno di risposte globali che però cominciano a partire dalle proprie identità personali, da quello che si sceglie. Bisogna tornare a una formazione etica diffusa che poi diventa un patto che si rinnova tra singole cittadine e cittadini, generazioni diverse, istituzioni, mondo associativo. Bisogna ripensare radicalmente alcune strutture, il problema però va portato alle coscienze individuali, va capito che dobbiamo responsabilizzarci come diceva don Milani negli atti del suo processo sull’obiezione di coscienza quando sosteneva che ognuno doveva sentirsi responsabile di tutto". A livello locale, parlando della Toscana, quali iniziative possono essere intraprese per promuovere una società pacifica e inclusiva?

"Innanzitutto mai rinunciare, a nessun livello quindi anche quello locale, ad una educazione seria alla cultura della pace: questo significa ricentrare sul bene comune e sui diritti fondamentali degli individui perché non c’è pensiero di pace, non c’è pensiero di contrasto alla guerra che non passi per il rispetto fondamentale delle persone e dei loro diritti. Quindi un progetto educativo sulla pace bisognerebbe diventasse una priorità politica perché con questo filo si tira su molto altro, anche il contrasto alla criminalità organizzata, il rispetto ambientale, il senso della giustizia, i diritti fondamentali sul lavoro".

La Toscana ha avuto grandi personalità che hanno portato avanti questi temi…

"Abbiamo avuto punti di riferimento importanti. Penso a un sindaco come La Pira che ha amministrato una città aperta al mondo come Firenze e che si poneva il problema della pace, vedi i Convegni del Mediterraneo, ed era gestita a protezione dei poveri. Abbiamo avuto poi personaggi come don Milani, Ernesto Balducci, Padre Davide Maria Turoldo che hanno fatto capire che c’è modo di fare una cultura, una intelligenza, una poesia, una spiritualità molto laica che diventa già il tentativo di costruire una cultura di pace".

Il tema dell’accoglienza è quanto mai attuale: come possono le società essere più inclusive?

"Anche in questo caso non si tratta di una questione ideologica ma estremamente concreta perché gli attuali livelli di natalità in Italia ci portano a pensare che, da qui a poche decine di anni, la popolazione autoctona sarà ridotta praticamente del 50%. Io parlo sull’onda di un pensiero che è quello della Chiesa che ha sempre posto una questione morale da questo punto di vista ma si tratta anche qui di progettare il futuro. C’è un dovere di accoglienza morale perché queste persone fuggono dalle guerre, da una serie di contesti pericolosi ma occorre però pensare l’Italia del futuro secondo una dimensione concreta e immediata, di sistemi produttivi, di sistemi educativi, dell’assistenza di base. Non è un discorso utilitaristico è un discorso politico".