Assistenza, cura, ricerca La Fondazione Meyer: "La persona al primo posto"

Il presidente Donzelli: "L’obiettivo è promuovere la cultura della salute del bambino in senso globale. Il piccolo paziente in ospedale deve vivere in condizioni simili a casa".

di Manuela Plastina

FIRENZE

Quando fu fondato nel 1891, dedicato dal commendatore Giovanni Meyer alla moglie Anna precocemente deceduta, l’"ospedalino" Meyer di Firenze era una delle prime strutture che in Europa si dedicava esclusivamente alla cura dei bambini. Qui è nata la pediatria: fino a quel momento il "fanciullo" era considerato come un adulto ricoverato senza distinzione di reparto ospedaliero.

In 132 anni di storia l’"ospedalino" (come ancora lo chiamano affettuosamente i fiorentini) è diventato un’Azienda Ospedaliero Universitaria ad alta specializzazione, dal 2007 trasferita sulla collina di Careggi dove è diventata ancora più "grande" col riconoscimento ministeriale di Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS) per la pediatria e in ulteriore continua crescita con il Meyer Health Campus, il Family Center e il Parco della Salute, in via di realizzazione. Dal 2000 la Fondazione Meyer affianca l’ospedale per supportarne l’attività di ricerca, cura e non solo, come sottolinea il professor Gianpaolo Donzelli, suo presidente.

Professore, tra gli obiettivi dell’Agenda 2030 c’è "Assicurare la salute e il benessere per tutti e per tutte le età".

"E’ anche il nostro obiettivo da sempre. Come Fondazione Meyer raccogliamo risorse per destinarle alla cura, alla ricerca a carattere scientifico, all’assistenza del bambino e della sua famiglia, alla formazione di nuovi quadri professionali".

La cura si accompagna anche alla cultura.

"La cultura della salute del bambino nella sua globalità: è quanto promuoviamo attraverso il nostro Centro Studi".

Nell’attività clinica dell’AOU Meyer c’è molto più della medicina applicata per guarire il bambino.

"Parliamo di cura a 360 gradi: non solo della malattia, ma della persona in quanto tale. All’assistenza clinica, per singole patologie anche molto complesse, affianchiamo tutto ciò che può permettere al bambino di vivere la dolorosa e faticosa esperienza dell’ospedale in condizioni simili a come vivrebbe al di fuori di questo. Nell’ospedale trova la scuola, la ludoteca per la play therapy, gli interventi assistiti con gli animali (pet therapy), i clown, la musicoterapia. Da tempo ormai curiamo anche l’aspetto spirituale partendo dal presupposto che ogni ospedale ha un’anima: abbiamo realizzato uno "spazio dello spirito" dove tutte le religioni possono vivere la propria spiritualità".

Lei lavora al Meyer dal ’73, entrato come medico, poi primario di pediatria, ora presidente della Fondazione, e ha anche vissuto un’esperienza importante professionale e di vita in Africa. Come ha cambiato il suo approccio a questo lavoro?

"Ho vissuto sulla mia pelle, visto con i miei occhi, la mancanza di uguaglianza delle cure, l’assenza del diritto alla salute in Paesi poco lontani da noi e su bambini come i nostri. Assicurare la salute a tutti, come invita a fare l’Onu, è diventata la nostra priorità, anche grazie al “Centro bambini del mondo“ che vuole dare risposte proprio a quei ragazzi che nella loro terra non vivono il diritto alla salute".

Spesso i vostri professionisti accolgono piccoli pazienti che arrivano da lontano o vanno loro stessi in missione.

"Siamo laddove c’è bisogno di noi. I nostri professionisti sono sempre disponibili a questo. Per esempio siamo stati tra i primi ad andare a Lampedusa per soccorrere gli immigrati. Siamo stati in Paesi lontani a insegnare ai colleghi locali tecniche avanzate. Accogliamo qui vittime della guerra o bimbi che altrove non avrebbero possibilità di sopravvivenza. “Solidarietà“ è la parola chiave di questo ospedale e della nostra Fondazione. “Solidarietà“ è la chiave del diritto al benessere per tutti e per tutte le età, a partire dai bambini".