Voci dall’Iran La rivoluzione è donna "Alla fine vinceremo contro il regime"

Il clima di sospetto, la violenza e la vita schiacciata. Le attiviste iraniane raccontano il sogno di democrazia "Da 44 anni gli ayatollah ci vietano di festeggiare questa giornata. Adesso nessuna può più tacere".

Voci dall’Iran La rivoluzione è donna  "Alla fine vinceremo contro il regime"
Voci dall’Iran La rivoluzione è donna "Alla fine vinceremo contro il regime"

"Noi abbiamo perso molti diritti che avevamo acquisito. È stata una cosa che nessuno poteva immaginarsi. È per questo che la nostra storia deve far riflettere tutti". Le parole di Sanaz Partow, l’attivista iraniana ospite ieri dell’Università per Stranieri, dove ha partecipato all’evento ‘Donna Vita Libertà. Otto marzo per le donne iraniane’, risuonavano come un monito rivolto a tutti, nell’aula magna intitolata a Virginia Woolf, di cui il rettore Tomaso Montanari ha ricordato quella famosa frase ‘Come donna non ho patria, la mia patria è il mondo intero’.

"Da 44 anni – ha raccontato Partow – in Iran è proibito festeggiare l’8 Marzo. E nonostante quello che in tutto questo tempo è successo in Iran, il mondo democratico continua ad avere rapporti economici e politici con questo regime come se nulla fosse. Per questo è importante parlarne e informare le persone". Originaria di Fiesole, per tanti anni ha vissuto a Shiraz e poi è tornata in Italia per studiare architettura, vent’anni fa. È uno dei membri della comunità iraniana di Firenze. "Da quando sono qui – ha detto – raramente ho sentito parlare di Iran. Il Regime è riuscito a fare muro, a isolare la popolazione. Noi da anni, per esempio, chiediamo che i pasdaran siano inseriti nella lista dei terroristi internazionali, ma l’Europa si è sempre rifiutata. E la settimana scorsa il ministro degli esteri iraniano era a Bruxelles". Il suo sogno è un Iran democratico. "Non combatto la religione – ha detto – perché se una religione resta in una chiesa va benissimo. Ma una religione non deve diventare legge. E molti musulmani si vergognano per come la loro religione è usata a scopi politici".

Il pomeriggio, organizzato da Tiziana de Rogatis (presidente Cug) e Daniela Brogi (delegata del rettore alla comunicazione social), si è arricchito della presenza dei Bowland, la band lanciata nel 2018 da X Factor, che unisce musica pop a contaminazioni etniche, atmosfere siriane, ipnotiche. Si sono esibiti ieri, proprio nell’aula magna, incantando il pubblico. "Quando tutto questo è iniziato – ha detto Saeed Aman, che compone la band insieme a Pejman Fani e Leila Mostofi, tutti di origini iraniane – abbiamo sentito che questa volta stava succedendo qualcosa di diverso, rispetto al passato. C’è in questo movimento una forza diversa rispetto agli altri che hanno sfidato il regime. E non potevamo più tacere. Dobbiamo spingere i governi occidentali a un boicottaggio serio, come avvenne anni fa per l’apartheid".

"Oggi è un momento di confronto – ha ricordato de Rogatis – per capire cosa sta accadendo. È importante ricordare che non contestiamo simboli religiosi come l’hijab, ma una giurisprudenza che obbliga le donne a portarlo". Tante storie, che si incrociano con quella di Masha Amini, arrestata per una ciocca di capelli e morta durante la detenzione. Un infarto, secondo quanto affermano le forze di polizia. Da lì è iniziata quella che secondo il New York Times è stata la più imponente ondata di proteste dal 2009. Ma c’è un dato, su tutti, che incoraggia a guardare con speranza verso il futuro. E Partow lo ha ricordato con un accenno di sorriso: "In Iran il settanta per cento della popolazione ha meno di trent’anni".

Riccardo Bruni