Vaso di coccio tra vasi di ferro I rischi per Mps

Pino

Di Blasio

Sono domande alle quali bisognerebbe rispondere, invece di continuare a dividersi sulle novità che arrivano da Roma e da Milano, dalla politica o dai processi. Solo per restare agli ultimi 7 giorni, il Monte dei Paschi è tornato in copertina per la cooptazione di Pier Carlo Padoan al vertice di Unicredit, per le indiscrezioni sulla richiesta di proroga di due anni alla Commissione Europea sull’uscita del Tesoro, per l’immediata replica del ministero che pressa il premier Conte per fargli firmare il decreto sulla vendita, e per le condanne a 6 anni per Profumo e Viola, più l’aggiunta di 3 anni e mezzo per Paolo Salvadori, sulla questione dei derivati Alexandria e Santorini.

In mezzo a queste tempeste, il Monte rischia di fare la fine della zattera della Medusa: affondato per colpe precedenti e di altri, alla deriva, in balia di venti e correnti incontrollabili dalla plancia di Rocca Salimbeni.

La banca più antica del mondo, il quarto istituto d’Italia, non merita di finire alla berlina, di passare come l’esempio più nefasto delle pessime gestioni finanziarie nel decennio dei banchieri improvvisati. Deve riappropriarsi del suo destino, o almeno di una quota del suo futuro. E respingere al mittente le lettere come quella inviata da Giuseppe Bivona a tutto il consiglio nella quale si chiede uno stato di guerra permanente, cause legali e azioni di responsabilità contro gli ex amministratori dal 2008 al 2015, Nomura, Deutsche Bank, sindaci revisori, uffici legali e UE, con la ciliegina dell’aumento degli accantonamenti per cause legali e proroga della permanenza del Tesoro, affinché ci siano i soldi per liquidare le richieste danni dei clienti di Bivona. Deve essere il Monte a decidere cosa fare in questa fase. Una volta deciso, può dire la sua all’azionista di riferimento, il Governo, a sua volta diviso tra due anime, statalisti e privatisti. Può anche non essere ascoltato, ma almeno avrà fatto la sua parte.