REDAZIONE SIENA

Val d’Orcia, miti e bugie Con gli stereotipi non c’è sviluppo né bellezza

Un lungo reportage su l’Internazionale sul paradiso diventato ’parco giochi’. Senza investimenti o strutture ricettive il miracolo sarebbe svanito da tempo.

Val d’Orcia, miti e bugie Con gli stereotipi non c’è sviluppo né bellezza

Parlare di Val d’Orcia è diventato sport nazionale. Spesso però con luoghi comuni e stereotipi che suonavano già stonati, per questi luoghi, fin dal primo attacco di Asor Rosa, nel 1989, con le colate di ‘cemento rosso’ a Bagno Vignoni. Non ultimo un lungo articolo sulla Val d’Orcia, pubblicato su L’Internazionale, secondo cui si starebbe trasformando in una specie di parco giochi per l’arrivo di investitori o perché sta sparendo l’aia davanti ai poderi; senza dimenticare il classico contadino con le gote rosse, e le espressioni colorite, aggiungiamo noi.

Duri a morire questi stereotipi. Invece va detto che anche in Val d’Orcia l’agricoltura ha bisogno di generare reddito, di creare valore per chi la terra la lavora davvero, e di chi ha fatto la scelta, estrema, di rimanere a vivere nel territorio più bello del mondo ma con pochi servizi e opportunità per i giovani e tante difficoltà che chi ci viene per un solo weekend, non può neanche immaginare.

Nel nostro saggio ’Valore Val d’Orcia’, numeri alla mano, abbiamo sviscerato i motivi di un successo legato al paesaggio iniziato 35 anni fa, ma anche i suoi limiti. Il libro lo abbiamo portato in tutta Italia, anche nelle stanze delle istituzioni, facendo conoscere un modello di Val d’Orcia che ce l’ha fatta grazie a chi l’ha amministrata e al senso civico di chi la abita. Un riconoscimento universale alla meraviglia del suo paesaggio ma, ancor prima a chi quel paesaggio, nel corso dei secoli, lo ha modellato seguendo gli ‘ideali del Buongoverno’ del Lorenzetti.

Un territorio ‘fluido’ con cui l’uomo non hai mai smesso di interagire, lavorandolo e conservandolo mai uguale a sé stesso. E proprio in questo risiede il segreto del suo successo: ‘un luogo concreto ma aperto a tutti i sogni’, per dirla alla Mario Luzi. Ovviamente non è tutto oro quel che luccica e la Val d’Orcia è un territorio che ha bisogno di essere governato ancora bene, evitando quella che il professor Rossano Pazzagli (Università del Molise) definisce ‘la disneyzzazione’ dei paesi e delle campagne. I rischi ci sono è chiaro e ci sono un limite da gestire e un equilibrio da conservare fra popolazione indigena e turisti.

Senza i numeri, tuttavia, ci sarebbero solo opinioni. La Val d’Orcia contava negli anni ‘50-’60, oltre 21 mila abitanti, oggi in totale ne conta circa 13mila. Solo San Quirico ha retto, anzi è cresciuta da 2.100 a quasi 3mila (oggi è 2.700) grazie al lavoro.

Sembra strano ma se c’è lavoro la gente resta, rimangono i servizi essenziali e le attività. Finita l’edilizia è arrivato il turismo. Negli ultimi 30 anni la Val d’Orcia è passata da 47 strutture ricettive (1992) a oltre 500, un altro dato che non è opinione e che è cresciuto dopo il Covid.

Per cui, va bene tutto, ma cerchiamo di non affibbiare alla Val d’Orcia idee preconcette che rischiano di rasentare il radical chic. In Val d’Orcia ci sono imprenditori – molti sono giovani locali - che propongono servizi e strutture all’avanguardia, e che potrebbero benissimo trovarsi a Milano, Londra o Dolomiti, invece hanno deciso di restare per creare un futuro e posti di lavoro.

Ma servono infrastrutture, anche digitali, innovazione e servizi. Oggi siamo 13mila, senza il turismo e il lavoro saremo poco meno di 3mila e dopo non ci saranno più né cipressini da immortalare né pittoreschi contadini con le gote rosse.

Lorenzo Benocci

Cristiano Pellegrini