Torture a Ranza, parti civili all’attacco: "Mi disse come Cucchi: sono caduto"

L’avvocato Passione, che rappresenta il Garante nazionale dei detenuti, fa le pulci alle testimonianze: "Non c’è stato un complotto contro gli agenti penitenziari, nessuna storia precostituita", rivendica

L’ingresso del carcere di Ranza a San Gimignano (foto d’archivio)

L’ingresso del carcere di Ranza a San Gimignano (foto d’archivio)

Siena, 23 dicembre 2022 - "Non c’è mai stato un complotto dei detenuti contro gli agenti di Ranza. Nessuna storia precostiuita", rivendica l’avvocato Michele Passione, parte civile per il Garante nazionale dei detenuti nel processo per le presunte torture nel carcere di San Gimignano l’11 ottobre 2018. "Ad un’operatrice penitenziaria che all’inizio lo sentì disse la stessa frase di Stefano Cucchi (l’uomo deceduto a seguito delle botte ricevute in caserma, ndr ) ’Sono caduto’. E al pm Valentina Magnini aveva detto di non voler fare querela perché tanto con le guardie vincono loro", ancora l’avvocato Passione. Che ha parlato per 2 ore e 40 minuti ieri pomeriggio nel processo sulle presunte torture durante l’udienza interamente dedicata ad ascoltare le parti civili. A partire da Raffaella Nardone, difensore del detenuto tunisino di 33 anni che quell’11 ottobre venne trasferito di cella nel reparto di isolamento. Gli imputati, cinque agenti della penitenziaria, sono accusati a vario titolo di tale reato ma anche di lesioni e falso. "L’unico contatto per lui in Italia era l’avvocato", ha detto il suo legale confermando che era tossicodipendente "ma non mi risultano altri problemi. Sì, aveva timore a sporgere querela perché sapeva di essere extracomunitario e pregiudicato: nessuno gli avrebbe creduto. Filmati e riprese hanno dimostrato che era in grado di raccontare, oltre ad essere attendibile e concreto". A più riprese viene sottolineato, anche dalle altre parti civili, come il video sia la prova chiave di quanto accaduto a Ranza. Di come "quel ragazzo era stato prelevato, gli hanno fatto fare la sfilata usandolo come monito per gli altri. L’hanno privato dell’abbigliamento".

Fa una «fotografia» della situazione all’epoca dei fatti nel penitenziario, l’avvocato Passione soffermandosi anche sulla lettera di solidarietà agli agenti da parte di alcuni detenuti – "nessuno mette in dubbio che abbiano tenuto anche comportamenti ortodossi" – e del recente viaggio in Ucraina: "Fa loro onore ma non rileva in questa vicenda". Picchia duro sulle intercettazioni telefoniche riportando la frase di un loro collega che dice ’la prossima volta bisogna chiuderlo in bagno’. Le parole sentite da uno di loro ’Fermo, così lo ammazzate’. Rammenta "che il tunisino è diventato l’esibizione dello scalpo". Passa in rassegna tutte le testimonianze, in modo certosino, rilevando contraddizioni e in un caso palesi difformità fra deposizione e dichiarazioni al pm. Tanto che per quattro nomi chiede alla fine al collegio di valutare l’eventuale loro posizione. Definisce "alluvionale" l’indagine difensiva dell’avvocato Manfredi Biotti che difende quattro dei 5 agenti, si sofferma poi sul fatto "che in 15 vanno a contenere il detenuto che si dimenava. In realtà non era così, si vede dal video. Sapeva che doveva cambiare cella, è stato detto. Ma aveva in mano lo shampoo".

Il 24 gennaio parola alle difese, a partire dalle 9. E il 6 febbraio la sentenza.