"Siamo entrati in un giro di schiaffi senza aver fatto niente", dice l’avvocato Fabio D’Amato al tribunale citando la frase di un’intercettazione che fa parte del processo per presunte torture a Ranza nei confronti di un detenuto tunisino. E ancora: invita il giudice a guardare i volti degli agenti mentre lo trasferiscono di cella, quell’11 ottobre 2018. "Sono tranquilli". dice. Stanno eseguendo, rivendica poi, un atto dovuto e non dunque una spedizione punitiva come sostenuto dall’accusa che ha già chiesto la condanna per tutti e cinque gli uomini della penitenziaria sotto processo. "Se ci fosse stato accordo – è ancora D’Amato – si sarebbero organizzati diversamente". Si sofferma, tra l’altro, sulle fasi in cui il detenuto nel corridoio cade in terra. "Ho visto uno spostamento di piedi sì, ma non sono calci – tuona –; quanto semmai colpettini dati impercettibilmente per compulsare il detenuto a rialzarsi prima possibile". Punta sulle conseguenze fisiche della presunta tortura da parte del carcerato, una ferita di 3 centimetri. Solo alle 16,30 passate termina di parlare D’Amato e il collegio non rinvia per ascoltare la difesa degli altri quattro agenti. Così l’avvocato Manfredi Biotti inizia tratteggiando i contorni del maxi processo: 2070 pagine di fonoregistrazioni, 10 mila di atti di indagine della procura, centinaia e centinaia quelle delle sue indagini difensive, più ulteriori documenti depositati nel corso del dibattimento. Fa un affresco della situazione a Ranza nel 2018 dove mancava un direttore stabile e sempre presente, si sofferma sui quattro filmati raccolti da altrettante telecamere interne. E attacca interrogando: "Perché prima furono richiesti 10 giorni di immagini e poi di uno solo? Avere avuto i filmati completi avrebbe consentito di ricostruire la situazione prima e dopo, fugando molti dubbi. Invece abbiamo un’ora e 50 minuti. E’ stato leso a mio avviso il diritto di difesa degli agenti". Biotti finirà di parlare il 6 febbraio.
La.Valde.