Torture a Ranza, ammesse sette parti civili

Al via l’udienza preliminare per 5 operatori del carcere. Il medico accusato di omissione di atti d’ufficio chiede il rito abbreviato

di Laura Valdesi

SIENA

Torture a Ranza, sette le parti civili ammesse dal giudice dell’udienza preliminare Roberta Malavasi. Cinque gli operatori della polizia penitenziaria imputati, tutti presenti ieri nell’aula al piano terra di palazzo di giustizia. Non c’era invece il medico della struttura carceraria che deve rispondere di omissione di atti d’ufficio.

La vicenda era salita alla ribalta della cronaca nazionale nel settembre scorso, scatenando le reazioni politiche con i sindacati che invocavano di fare subito chiarezza. Ad un anno di distanza dall’esplosione del caso l’indagine coordinata dal pm Valentina Magnini è conclusa per sei dei nomi indagati mentre per altri nove resta aperta. Gli imputati – quattro difesi dall’avvocato Manfredi Biotti, l’altro dal suo collega di Roma Fabio D’Amato – sono accusati, in concorso, di tortura nei confronti di un detenuto di 31 anni che era dentro per droga. E che ora non si trova più a San Gimignano. Spostandolo di cella, per l’accusa si sarebbe trattato in realtà di una scusa, lo avrebbero sottoposto ad un trattamento disumano. Botte e calci. Preso a forza, tutti insieme, portandolo nel corridoio. Qui minacce e pugni. Via i pantaloni, trascinandolo quasi svenuto nella nuova cella. Un accanimento che, secondo quanto contestato, avrebbe avuto lo scopo di risultare una sorta di avvertimento anche verso gli altri detenuti di Ranza che si trovavano in isolamento.

Ieri in aula c’erano un ispettore capo, difeso dall’avvocato D’Amato mentre il legale Biotti assisteva un ispettore superiore, un altro ispettore capo e due assistenti capo coordinatori. Non era invece in aula il medico che deve rispondere di omissione di soccorso, rappresentato dall’avvocato Roberta Gialli sostituita dalla collega Silvia Taddei. Che ha chiesto al gup Malavasi il rito abbreviato: si celebrerà a novembre. Per gli altri invece, dopo due ore e mezzo di ‘battaglia’ per le costituzioni di parte civile, l’udienza prosegue a metà ottobre. Sarà allora che si valuterà l’ammissibilità dell’incidente probatorio chiesto dal pm Magnini per un agente per il quale non è ancora conclusa l’inchiesta. Al contempo ha annunciato che vuol essere interrogato l’ispettore capo, che in i detenuti definivano ‘lo sfregiato’, ed inizierà la discussione.

Sette, come detto, le parti civili che sono state ammesse. Si tratta dell’associazione Antigone, che ha depositato un esposto sulla vicenda e da anni si occupa di diritti umani e della situazione dei penitenziari. Poi c’è l’associazione Yairaiha onlus. "Posso annunciare che l’associazione che presiedo, unitamente ad alcuni detenuti che hanno fatto denuncia, unitamente ai loro familiari, hanno intenzione di costituirsi parte civile in un eventuale processo. Per quanto ci riguarda ci sono già tre avvocati a lavoro, due di Roma e una di Cosenza", annunciava nel settembre 2019 la presidente Sandra Berardi. E’ a ‘Yairaiha Onlus’ che è giunta la lettera da cui è partita l’inchiesta per le presunte torture a Ranza. Parte civile anche il Garante nazionale per i detenuti e L’Altro diritto che tutela i carcerati di San Gimignano. Alle associazioni si sono aggiunti tre detenuti che sarebbero stati al centro di episodi diversi.

Per quanto riguarda le accuse, oltre a quella di tortura, gli operatori penitenziari devono rispondere a vario titolo di lesioni e di falso. Otto i capi di imputazione.