ORLANDO PACCHIANI
Cronaca

Pronto soccorso a Siena, "Serve più filtro dalla medicina di base"

Il direttore del pronto soccorso delle Scotte, Giovanni Bova: "Dopo le polemiche resta l’amaro in bocca Accessi livelli pre-pandemia. Un quarto potrebbe avere risposte dagli ospedali del territorio"

Il professor Giovanni Bova, direttore del Pronto Soccorso al Policlinico

Siena, 29 luglio 2022 - «Il disagio lo comprendiamo, il tono di alcune polemiche lascia l’amaro in bocca perché facciamo da sempre lo stesso tipo di lavoro garantendo una risposta a tutti i pazienti. E siamo gli stessi che erano con i colleghi in piazza del Campo a ritirare il Mangia d’oro, come segno di ringraziamento della comunità ai sanitari senesi". Giovanni Bova è il direttore del pronto soccorso del policlinico, finito nella bufera lunedì per la fila di ambulanze sotto il sole, con i pazienti in attesa di accedere al reparto.

Bova, come avete vissuto dall’interno la situazione?

"Siamo abituati al sovraccarico nel fine settimana e al lunedì, per l’accumulo del sabato e della domenica, quando le difficoltà di accedere a figure o servizi sanitari si accentuano. Poi i numeri tornano a stabilizzarsi".

Ma in questo caso la fila dei mezzi è stata eclatante. Il dg Barretta ha già elencato i numeri, lei che lettura dà?

"Gli accessi sono tornati al pre pandemia, ma Siena ha una peculiarità: è l’ospedale di riferimento dell’area vasta sud est e quindi ha un numero maggiore di codici 1, i casi più gravi: siamo al 5-6% degli accessi, altre realtà al 2%. Altro dato rilevante è un 25% di accessi di persone, con patologie meno gravi, che provengono dall’area senese e potrebbero avere risposte negli ospedali di riferimento".

Avete più volte evidenziato una serie di accessi considerati impropri: quanto incidono?

"Partiamo da un presupposto: ognuno ha il suo bisogno di salute e noi non mandiamo via nessuno. Lunedì, per esempio, sono stati 70 i codici minori, ma evidenzio alcuni dati: sulla presa in carico dei pazienti, rientriamo al 97% nei tempi previsti, gli abbandoni sono molto bassi, all’1%, i reclami l’anno scorso sono stati 40 su oltre 45mila pazienti".

Eppure qualcosa non ha funzionato: come intendete rispondere?

"La situazione dell’emergenza è critica in tutta Italia, anche perché si intreccia con quella legata al Covid che impegna notevolmente. Il dg ha già annunciato alcune misure, dal reperimento rapido e dinamico di 12 posti letto all’impegno per una migliore accoglienza se dovessero verificarsi casi analoghi a quello di lunedì, che siamo tutti in ogni caso impegnati a evitare".

In questo rientra anche il rapporto col volontariato?

"Certo, abbiamo instaurato una prassi di incontri regolari con le associazioni del volontariato, improntati a un rapporto di collaborazione e fiducia. Siamo dalla stessa parte, non ci sono contenziosi. La direzione aziendale ci ha sempre affiancato nel dialogo con i soggetti esterni".

Vi aspettate di più dalla medicina territoriale?

"Specie in certi periodi dell’anno, gli anziani sono ancora più fragili e si acuiscono problematiche che forse potrebbero essere in modo diverso rispetto al pronto soccorso. Da noi arriva il 90% di persone che qui trovano una prima valutazione medica e ovviamente non considero chi versa in condizioni serie e naturalmente ha l’ospedale come interlocutore. Forse un filtro territoriale diverso potrebbe dare al pronto soccorso il modo di lavorare soprattutto sulle emergenze e al cittadino la possibilità di avere una risposta ancora più immediata. È chiaro che il pronto soccorso non ha mai rifiutato nessuno e mai lo farà".

L’emergenza urgenza soffre anche della carenza di medici.

"In Toscana mancano 250 medici in questo settore, noi siamo rimasti stabili con numeri che non sono ottimali, ma stiamo comunque meno peggio di altre realtà anche grazie all’impegno dell’azienda. Se i medici non ci sono non li possiamo però inventare, scontiamo tutti falle di programmazione che risalgono a 10-15 anni fa. Purtroppo le condizioni di lavoro, tra turni, notti e festivi, non rendono attrattivo un pronto soccorso e finisce che le scuole di specializzazione si riempiono solo al 15%. Speravamo in 30 nuovi medici all’anno, ma non li avrà nessuno. Serve una nuova programmazione anche per i concorsi".