Mortale sull’Autopalio Nuove accuse a tre tecnici

Il pm De Flammineis cambia il capo di imputazione alla luce della perizia "Con l’elemento di raccordo fra le barriere forse la trave non si infilava nel bus"

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Colpo di scena al processo per l’incidente mortale sull’Autopalio che il 22 maggio 2019 bloccò la circolazione a causa di un bus turistico ribaltato fuori strada. Una guida di 41 anni morì, 37 persone rimasero ferite. E adesso quattro uomini sono sotto processo: il conducente del pullman Leonardo Santoro per omicidio stradale e tre tenici, fra cui un ingegnere dell’Anas, per omicidio colposo. La maxi perizia disposta a maggio dal giudice Simone Spina per fare chiarezza a tutto tondo sulla dinamica dell’incidente, lo stato di manutenzione della strada e del mezzo, soprattutto il rispetto della normativa vigente relativamente alle protezioni lungo la carreggiata della ’Palio’, è stata illustrata ieri dall’ingegner Carlo Nigi. E alle 17 passate, dopo una battaglia serrata fra avvocati della difesa e consulente a tratti con toni accesi, la relazione che ricostruisce quanto avvenne il 22 maggio di tre anni fa è stata acquisita agli atti dal giudice Spina. E il pm Siro De Flammineis, alla luce di quanto emerso, ha modificato il capo di imputazione, inserendo altre accuse ma solo per i tre tecnici: oltre all’ingegnere Anas, un dipendente della ditta che partecipò al collaudo del guard-rail assistito dagli avvocati Beatrice Borghi e Daniela Del Lungo, più il progettista.

"E’ emerso, per quanto riguarda dinamica e causa dell’incidente, che la perdita di controllo è ascrivibile al conducente, distratto da una conversazione con la persona che poi è morta. Nessun deficit funzionale del mezzo", esordisce l’ingegner Nigi. Poi passa allo stato delle barriere di sicurezza della carreggiata nel tratto fra Monteriggioni e Badesse. "Ce n’erano di due tipi – spiega – sul breve cavalcavia. Quelle ’H4’ che diventano invece ’H3’ subito prima e subito dopo. La norma recita che quando siamo in presenza di barriere di tipo diverso ci debba essere tra loro un elemento di raccordo che invece in questo caso mancava". Tale da rendere continua la trave della parte superiore ’H4’ con le ’H3. Lo prevede un articolo dell’allegato al decreto ministeriale del ’98. Si sarebbe potuta salvare allora Elena Urtaeva, la guida russa di 41 anni la cui famiglia è già stata risarcita? "Se ci fossero stati gli elementi di raccordo – sostiene Nigi – ci potevano essere le premesse per un esito meno invasivo". Specifica più avanti che, "forse, poteva scongiurare l’ingresso della trave dentro la cabina del bus". La donna, infatti, era morta infilzata proprio da quest’ultima.

Poi inizia la battaglia sul contenuto della consulenza disposta dal giudice. Una partita importante in vista della sentenza che arriverà a inizio 2023. L’avvocato Bernardini che difende l’ingegnere dell’Anas fa domande per oltre un’ora. Sul manto stradale, sulla traiettoria, ricorda che il conducente del bus turistico "ha detto che la guida al momento dell’urto era in piedi accanto a lui". Contesta punto su punto Nigi che, comunque, tiene duro e alla fine ribatte a tono. "Andiamo avanti – interviene Spina – non ho intenzione di perdere tempo". Il difensore dell’ingegnere Anas chiede che l’esame del tecnico e la sua relazione siano dichiarati inutilizzabili. "Perché molti dati rilevanti – attacca – e considerazioni sono stati tratti dalla consulenza del pm che non è appunto utilizzabile su ordinanza del giudice. Nigi ha anche usato foto che non figurano neppure agli atti". Il pm De Flammineis si oppone. E il presidente Spina non ha dubbi: rigetta l’eccezione e acquisisce la relazione.

Poi l’ennesimo colpo di scena quando il pm chiede di modificare in parte il capo di imputazione che riguarda solo i tre tecnici imputati aggiungendo il riferimento alle prescrizioni del decreto ministeriale del ’98, inoltre l’omissione di un elemento di raccordo tra le due barriere che si trovavano nel punto dove il bus si è ribaltato. Quel 22 maggio vennero divelti circa 30 metri di barriera.

La.Valde.