Paese che vai usanza che trovi. Nella mia esperienza di cronista, tra Livorno, Lucca, Pisa e Siena, ho apprezzato città profondamente diverse. Il garbo lucchese, la scienze pisana, l’anarchia labronica e l’elegante nobiltà senese fra tradizioni e identità. Una cosa però ho trovato immutato: il Pd e i suoi pasticci. Quel ‘partitone’ - orgoglioso del suo pluralismo, battagliero nelle sfide sui diritti, consapevole che l’autosufficienza è solo un bel ricordo - si trova - ancora una volta - alle prese con le regole dei congressi che le commissioni elettorali sono chiamate a far rispettare. L’ultimo episodio: le candidature senesi al congresso, tutt’altro che unitario, per l’Unione comunale visti i nomi ai nastri partenza. A far incartare i piddini però è stata l’esclusione eccellente di Piero Fabbrini che - sostenuto dall’ex assessore Paolo Mazzini - annusava già odor di vittoria. Ma quell’email con le firme a suo sostegno arrivata pochi minuti dopo la mezzanotte ha vanificato sforzi e sogni. La domanda sorge spontanea, by Antonio Lubrano: era proprio necessario arrivare all’ultimo minuto per consegnare le firme a sostegno della candidatura? Il copione è lo stesso: il Pd inciampa nella forma, che in un congresso decisivo come questo è anche sostanza. Forse, dietro ai regolamenti, il ‘partitone’ cela mal di pancia che nemmeno la perdita del capoluogo ha ancora curato.
CronacaLa domanda sorge spontanea