La difesa dell’ex presidente Mps: "L’imputazione non sta in piedi"

L’avvocato Pisillo ribatte punto per punto alle contestazioni. Oggi un’altra udienza fiume ma niente sentenza

La difesa dell’ex presidente Mps: "L’imputazione non sta in piedi"

La difesa dell’ex presidente Mps: "L’imputazione non sta in piedi"

di Laura Valdesi

SIENA

"Un pasticcio. Un’imputazione di bancarotta che non sta in piedi. L’Ac Siena non ha subito alcun pregiudizio, neppure potenziale. Questo può chiudere il processo", sentenzia l’avvocato Fabio Pisillo che ha assistito l’ex presidente di Banca Mps Giuseppe Mussari in tutta Italia. E anche in questa vicenda che risale ormai ad oltre un decennio fa. E’ il primo fra i difensori a parlare, dopo la parte civile, chiedendo l’assoluzione perché il fatto non sussiste. "Non c’è né bancarotta fraudolenta, né semplice", ribadisce dopo aver replicato a diversi punti su cui la procura aveva attaccato. "Perché l’operazione della cessione del marchio non è passata per il cda? E’ stato detto e ridetto: non era necessario. Io stesso chiesi a Fabrizio Viola (quando testimoniò, ndr) come mai invece arrivò in consiglio di amministrazione l’operazione identica per il marchio Mens Sana Basket. Ebbene, in tal caso ci poteva essere un conflitto potenziale di interesse tra un membro del collegio sindacale della società sportiva e del Monte dei Paschi. Tutt’altra cosa sono le sponsorizzazioni che vanno in cda", premette Pisillo. Che su tale capitolo prosegue il botta e risposta con il pm De Flammineis. "La politica in fatto di pubblicità di Mps era stata indirizzata soprattutto sullo sport. Una scelta. Era pubblicità, ripeto. Mps non avrebbe mai più potuto farla?", interroga riferendosi alla crisi di liquidità attraversata da Rocca Salimbeni "che era stata prontamente risolta, ancor prima della fine dell’ispezione della Banca d’Italia". E ancora: "Perinetti parla di ’artifizio’? Non mi soffermo, abbiamo autorevoli consulenti".

Prende di petto il cuore dell’accusa che è stata derubricata, come detto nella pagina a fianco, in bancarotta semplice. "Si sostiene, in sostanza, che l’operazione di cessione del marchio ha aggravato il dissesto dell’Ac Siena. Ma non risulterebbe un fatto doloso quanto colposo: Mussari e solo Mussari era a conoscenza di ciò che diceva la Banca d’Italia e doveva bloccare l’operazione. Ebbene, nel processo è emerso che quando quest’ultima è stata incardinata la società non era in una condizione di dissesto, né di insolvenza. Anzi, un’operazione lineare, senza forzature. Istruita da Antonio Marino e portata all’attenzione del comitato crediti della capogruppo, senza avere opinioni contrarie". rincara la dose Pisillo. Che aggiunge: "La cessione del marchio non si è rivelata in alcun modo pregiudizievole per l’Ac Siena che monetizza per un valore congruo il proprio asset senza creare un debito. E’ previsto il pagamento di un canone di circa 1 milione di euro, per 9 anni, dal, 2012 al 2020".

Il difensore di Mussari va oltre, declinando a suop dire le vere ragioni del fallimento della società bianconera, dalla penalizzazione di sei punti per il calcio scommesse all’inevitabile retrocessione in B con minori introiti. Inserisce anche la cessazione della sponsorizzazione da parte del Monte collegata all’improvvisa situazione di crisi. "Lo ’scherzo’ Eba – lo definisce Pisillo –, la prima volta che una Banca viene messa in difficoltà per un problema di titoli di Stato". Poi graffia: "L’Ac Siena ha continuato ad operare per tre anni e la procura non ha mai contestato di aver proseguito l’attività aziendale".

Oggi il processo sulla cessione del marchio prosegue con l’avvocato Giulio Pisillo, co-difensore di Mussari, parlerà il legale di Mezzaroma Floria Carucci e quindi i difensori degli altri tre imputati. Ma la sentenza che fa calare il sipario definitivamente sui grandi casi giudiziari che hanno visto lo sport senese in tribunale non avverrà oggi. Ci dovrebbe essere il rinvio per eventuali repliche ed il verdetto.