Caporalato, chiuso il cerchio. In sei sfruttavano i braccianti

Turni estenuanti di lavoro, alloggi choc. La procura ha concluso l'inchiesta partita dall'incendio in un alloggio nel Chianti

La conferenza stampa del settembre 2017

La conferenza stampa del settembre 2017

Siena, 4 ottobre 2018 - Turni estenuanti di lavoro, alloggi choc. E non venivano pagati quanto sarebbe spettato loro per quel lavoro nei campi, che durava anche 14 ore. Persino nei giorni di festa perché tanto per loro non esistevano ferie. Venivano impiegati in importanti aziende del Chianti e della Val d’Orcia, anche del Grossetano come braccianti agricoli. Kosovari e afgani, altri arrivavano dal Nord Africa. Un quadro di sfruttamento e di degrado portato alla luce dai carabinieri della compagnia di Poggibonsi, coordinati dal procuratore capo Salvatore Vitello e dal pm Nicola Marini, insieme all’ispettorato del lavoro. Il caso salì alla ribalta nazionale anche perché era stato nominato un amministratore giudiziario per la società in quanto i due fratelli accusati di ‘caporalato’, che vivevano uno a Siena e l’altro sull’Amiata grossetana,  nel settembre scorso erano finiti in carcere a Santo Spirito. Con loro nei guai anche un presunto caporale che sorvegliava i braccianti e da essi era molto temuto. Altre tre le persone indagate per questa vicenda.

Ebbene, ad un anno di distanza – il caso scoppiò nel settembre 2017 – il cerchio si è chiuso. Conclusa l’inchiesta ed ora i difensori – l’avvocato Alessio Bianchini di Grosseto e Alessandro Buonasera di Siena – avranno i canonici venti giorni di tempo per eventuali memorie. L’ossatura dell’inchiesta risulta confermata, così come lo sfruttamento di ben 42 operai agricoli ingaggiati dalla ditta che forniva manodopera a grandi aziende anche del Senese. Come già emerso dall’inchiesta – partita a seguito dell’incendio di un’abitazione nel Chianti che aveva svelato alloggi in condizioni precarie –, le norme non venivano rispettate sia per quanto riguarda la formazione ma anche i dispositivi di sicurezza. Non solo. Dovevano anche lavorare veloci altrimenti paventavano il licenziamento oppure, magari, li tenevano a casa alcuni giorni incidendo sul loro sostentamento. Anche la retribuzione, sostiene la procura, non risultava adeguata. Ricevevano 6,5 euro l’ora, al di sotto di quanto previsto dalle norme.

Laura Valdesi