
Bellaveglia, l’altra storia possibile. Il banchiere stroncato dalla malaria
Sono dell’opinione che il corso della storia della nostra città sarebbe cambiato, in positivo, se nel giugno del 2006 non fosse scomparso Stefano Bellaveglia. Certo, la storia non si fa con i "se" e i "probabilmente", ma con analisi lucide ed oggettive. Ma la mia è più di una sensazione, è la rilettura di un percorso di vita, il suo, fatto con grandi capacità e oggettiva analisi delle future prospettive. Quello che è certo è il suo ruolo da protagonista. Fatale è stato il suo viaggio in Africa, dove contrasse la malaria, proprio all’apice di una carriera che l’aveva portato, dai giorni della Cna, ai vertici della Banca Monte dei Paschi, alla vicepresidenza, ma sempre con una trasparenza che rendeva il tutto naturale agli occhi di tutti. Eccolo ritratto da Augusto Mattioli durante un congresso del suo partito.
Uomo di apparato, certo, ma con l’occhio critico e indipendente di chi ha l’idee ben chiare sul concetto di futuro per la sua comunità. Non certo a caso, questo suo sguardo verso gli ultimi, che non era certo la retorica di un discorso in pubblico, ma vera solidarietà, lo aveva portato ad essere fra i protagonisti dell’Associazione "Il fuoco del futuro" che operava in Congo, dove era stato pochi giorni prima di scomparire. Non si costruisce un futuro migliore lasciando barriere e disparità. Il mondo è uno solo e prima o poi dobbiamo fare i conti con un altro universo che ci bussa alla porta. Per questa sua acuta lungimiranza è lecito pensare che certe scelte della Banca sarebbero passate attraverso il suo setaccio di assoluto protagonista, nel più ampio senso positivo. Resta più di un ricordo: una Fondazione benefica a nome suo, quindi assoluta concretezza, resta un esempio non certo seguito da tutti, testimonianze importanti, brandelli di verità, e quel senso da "sliding doors" che la città si trovò ad affrontare proprio in quel fatidico momento.
Guardava avanti: pensiamo alla Holding Sport&Spettacolo, e sapeva gestire situazioni complicate come quella con Pirelli e Edizioni Holding, ma proprio l’attenzione come Associazione Hopa al terzo mondo gli fu fatale. Non era certo la sua debolezza ma la sua forza. Per questo continuo ad affermare che oggi con lui questa comunità sarebbe migliore, magari anche scevra di certi trionfalismi che hanno portato ad un netto ridimensionamento della vita di tutti.
Massimo Biliorsi