ALINA LOMBARDO
Cronaca

L’Africa da riscoprire. Culla dell’homo sapiens: "Abbiamo un debito con questo continente"

Dalla tratta degli schiavi al colonialismo fino al saccheggio di risorse. Serve un nuovo modo di guardare l’altra sponda del Mediterrano. riconoscendole dignità e parità e restituendole la propria storia.

Dalla tratta degli schiavi al colonialismo fino al saccheggio di risorse. Serve un nuovo modo di guardare l’altra sponda del Mediterrano. riconoscendole dignità e parità e restituendole la propria storia.

Dalla tratta degli schiavi al colonialismo fino al saccheggio di risorse. Serve un nuovo modo di guardare l’altra sponda del Mediterrano. riconoscendole dignità e parità e restituendole la propria storia.

È la gratitudine il filo conduttore della XXI edizione del Festival della mente, in programma a Sarzana dal 30 agosto al primo settembre. Ma quando si parla di Africa, la gratitudine non è un sentimento che viene spontaneo in noi occidentali. Invece dovrebbe. Per molte ragioni. Lo spiegheranno Marco Aime, docente di Antropologia culturale all’università di Genova, e Zeinab Badawi, giornalista e regista sudanese, nell’incontro "Africa, un continente da riscoprire", in programma il 31 agosto alle 12 al Teatro Impavidi.

Professor Aime, riscoprire l’Africa è un grande tema. Da dove cominciare?

"Dalla restituzione dei tanti debiti che abbiamo contratto con quel continente. Tratta degli schiavi, colonialismo e, ancora adesso, sfruttamento continuo delle risorse. Un continente considerato un bacino da cui saccheggiare materie prime e riversare montagne di rifiuti. Ma soprattutto restituendo all’Africa la propria storia".

Che cosa intende?

"Troppo spesso è vista come un continente senza passato. Ovviamente non è così. È di questo che parleremo a Sarzana. Meglio di me lo racconterà Zeinab Badawi che mi siederà accanto sul palco. L’Africa non solo ha una storia, ma è anche ricca, importante e fondamentale. Il suo legame con il resto del mondo è molto antico e forte (è da lì che viene l’Homo sapiens), ma viene negato. Nel Medio Evo, per esempio, si sono sviluppate continue connessioni tra l’Africa e il mondo mediterraneo, tra l’Africa e l’Asia. Nel XIV secolo, per dire, il Mali era collegato alla via della seta tramite Il Cairo. Tra le potenze del Mediterraneo, Venezia, Genova, ma anche la Spagna, la Catalogna e altri paesi gli scambi commerciali con l’Africa subsahariana erano intensissimi. Venezia dialogava con Timbuctu. E non c’era un senso di discriminazione nei confronti degli africani. Ancora nel 1500 il re del Portogallo e il re del Congo, che aveva un’ambasciata a Lisbona, parlavano riconoscendosi sovrani alla pari".

Poi è arrivato lo schiavismo

"Esatto. È stato l’avvio della tratta degli schiavi a cambiare tutto. È lì che nasce e si diffonde la disumanizzazione, la ‘inferiorizzazione’ dell’africano, del nero quasi come fosse il male. L’africano diventa lo schiavo per eccellenza. Lo si considera meno umano, dunque più facile da tener in catene".

Ma neanche con la fine del colonialismo il concetto di "razza inferiore" scompare. Come mai?

"Ci sono colpe da entrambe le parti. Da un lato, al mondo intero conviene avere un’Africa sottomessa, sempre bisognosa e facilmente ricattabile per ottenere le materie prime di cui è ricca. Dall’altro lato, ci sono le colpe dei dirigenti africani, leader politici in gran parte conniventi che vendono le risorse alle multinazionali occidentali per arricchirsi personalmente invece di tradurre i guadagni in progetti di sviluppo per il loro paese".

Insomma, bisogna trovare un nuovo modo di guardare all’Africa. Come?

"Riconoscendole dignità, parità e quel ruolo importante nella storia che le abbiamo sempre negato. Poi, ammettendo gli errori commessi e abbandonando il modello della cooperazione, che spesso è una forma di carità, in favore di veri modelli di investimento e sviluppo che contrastino l’analfabetismo e portino una crescita sociale della popolazione".

È l’inflazionato "aiutiamoli a casa loro"?

"È una frase straripetuta che rimane uno slogan semplicemente perché nessuno lo fa davvero. Se, invece, ci fossero degli investimenti su modelli di sviluppo capaci di creare posti di lavoro, ecco che molti giovani smetterebbero di investire cifre enormi e rischiare la vita per intraprendere viaggi che li portano dove pensano che per loro ci sia un’alternativa al nulla del loro paese.".

E dopo la restituzione si può arrivare alla gratitudine?

"Sì. Per quello che l’Africa ci ha dato e continua a darci, e per quello che ci darà in futuro. Perché dal punto di vista demografico l’Africa è il futuro. Noi siamo in un autunno demografico più che evidente, con un sensibile calo di natalità in tutto l’occidente, mentre in Africa il tasso di fertilità è elevatissimo. È lì che si concentra la più popolosa generazione di giovani mai conosciuta, più di un miliardo di persone di cui metà ha meno di trent’anni. Un fenomeno davvero epocale".

Facile immaginare che cosa accadrà.

"Al di là di tutte le sparate sulle sostituzioni etniche, come se fossero una novità da cui salvarsi, ciò che accadrà è un progressivo spostamento di persone verso altre regioni che creeranno una popolazione meticcia. Come è sempre accaduto nella storia dell’umanità".