REDAZIONE SARZANA

In Africa per curare i più bisognosi "Ripartirei in missione anche adesso"

A 88 anni portati alla grande il dottor Salvatore Samperi ripercorre con emozione le sue esperienze. Medico di generazioni di sarzanesi si è poi dedicato al volontariato tra i poveri. Rischiando più volte la vita

Il mal d’Africa esiste e quella nostalgia lo accompagna dalla prima volta che è arrivato in una colonia sperduta su consiglio di don Renzo Cortese, il sacerdote che sarebbe diventato un personaggio simbolo dell’impegno verso il prossimo. Quell’incontro negli anni Sessanta ha cambiato la vita di Salvatore Samperi, medico nato in Sicilia nel 1934 ma sarzanese a tutti gli effetti, che ha diviso la sua vita tra migliaia di pazienti in città e quelli nei villaggi a Gambella, in Etiopia, e Mogadiscio. Su quella esperienza ripetuta poi dal 2004 al 2006 ha scritto un libro riportando le emozioni che lo accompagnano sempre. "Non è una semplice nostalgia – spiega – ma un delirio di sensazioni che non si possono completamente descrivere. Non credo di aver fatto nulla di eccezionale però ho ricevuto in cambio qualcosa di indimenticabile". In Africa ha ricevuto anche un paio di estreme unzioni ma si è sempre risvegliato. "L’ultima volta nel 2006 è stata durissima e da allora ho detto basta anche nel rispetto dei miei famigliari che quando sono rientrato all’aereoporto di Pisa stentavano a riconoscermi tanto ero dimagrito. Ma con il pensiero partirei adesso e forse se non avessi avuto i miei cari dall’Africa non sarei mai rientrato".

A attenderlo c’erano cammelli e guide che lo lasciavano ai confini dei villaggi. Una linea rappresentata forse da un albero o un sasso, invalicabile per tutti.

Ma non per il dottor Samperi? "Non ho mai avuto la sensazione del pericolo. Mi hanno sempre detto di rimanere in attesa, che qualcuno sarebbe arrivato. E così facevo, con la mia borsa da medico, rimanendo sotto il sole a volte per ore fino a quando arrivavano i bambini che per mano mi accompagnavano tra le capanne. Non ho portato la salvezza ma credo di aver fatto comprendere con le poche medicine a disposizione il rispetto della malattia. Ogni uomo va curato e questo lo hanno compreso anche se a modo loro".

Come vi parlavate?

"A gesti però capivano. Per loro ero hakim Turi, il dottor Turi, e mi aprivano le porte. Ho visto la malattia, la morte, ho caricato bambini sui cammelli usati come ambulanze per portarli in zone più attrezzate e quell’umanità ricevuta è stata travolgente. Ogni volta rimanevo per 6 mesi ma per ripartire dovevo nascondermi altrimenti non mi avrebbero mai fatto salire sull’aereo".

Dica la verità: quante volte volte ha rischiato la vita?

"Ho preso tutte le malattie come era logico. Le poche medicine che avevo le lasciavo per i bisognosi. Ma ho rischiato solo per le malattie mai per altre questioni. Ero amato e rispettato, quando arrivavo a piedi o sul cammello portavo aiuto e questo lo sapevano in tutti i villaggi".

Massimo Merluzzi