Quell’opera è di Donatello? Esperti divisi Prato si interroga sull’eredità del maestro

L’occhio della chiesa di San Francesco accende il dibattito dopo l’ultima attribuzione. De Marchi: "No, quello è Della Robbia"

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di Andrea De Marchi*

Il restauro del grandioso oculo con le Stimmate di San Francesco al vertice della facciata della chiesa dei Minori di Prato va salutato come meritorio, perché salva un capolavoro negletto dal sicuro degrado a cui sembrava consegnato in maniera irreversibile, anche se io ho l’impressione che la rete di protezione contro i piccioni non sia sufficiente e che ragionando sul lungo periodo sarebbe necessario proteggerlo con un vetro. Sicuramente si dovranno sviluppare studi per inquadrare meglio un’opera così singolare, anche dal punto di vista tecnico. Si tratta infatti di una modellazione in stucco su un’anima di mattoni che costruivano la base della scena e delle stesse figure, e per cui fondamentale era il completamento pittorico, per me perfettamente riconoscibile come del Maestro della Natività di Castello, un anonimo lippesco che operò pure a Prato alla metà del Quattrocento, dipingendo la pala di Faltugnano ora nel Museo dell’Opera del Duomo. Capisco che tale sperimentalismo tecnico possa aver suggerito il nome di Donatello, ma è qui completamente assente la grinta prospettica con cui egli avrebbe scorciato di sotto in su una scena simile, dagli stucchi della Sagrestia vecchia di San Lorenzo in avanti. I mattoni vanno a riempire in maniera poco canonica l’intradosso dell’arco e quindi non si può invocare una contestualità con il completamento architettonico della fronte della facciata. In tutto il Quattrocento toscano non si conosceva prima della commovente pala di Bartolomeo della Gatta a Castiglion Fiorentino un’interpretazione della scena delle Stimmate così dolce e quieta, immersa parrebbe davvero tra la frescura delle conifere, sui monti della Verna, con un gusto per l’ambientazione variamente articolata e descritta, non più disciplinata dall’esibito rigore della dimostrazione prospettica, che si fa strada solo dopo la metà del secolo, prima in pittura e poi in scultura (si pensi ai rilievi di Benedetto da Maiano). Purtroppo le due figure di Francesco e del frate Leone sono in parte corrose, ma ancora si giudica un modellato tornito e un senso di integrità fisica, nonché una sintesi lineare nelle cadute essenziali dei panneggi del tutto remoti dall’inquieta espressività donatelliana. Per quanto mi riguarda non vedo ragione per mutare avviso rispetto all’ipotesi che formulai nel 2013 in favore della giovinezza di Andrea della Robbia, ma sono pronto a ricredermi di fronte a tesi più convincenti e argomentate con confronti calzanti, in ogni caso in questo contesto stilistico e cronologico, certo non nell’ambito di Donatello e negli anni venti del Quattrocento, quando una creazione simile non sarebbe nemmeno concepibile. Mi sia permesso allora di ripetere quando scrissi nel catalogo della mostra Da Donatello a Lippi. Officina pratese, che curai nel 2013 a Palazzo Pretorio, prima della sua riapertura, assieme a Cristina Gnoni, e che ritengo ancora valido.

"Un riflesso più tardo di un’idea simile [l’Assunta dipinta nel rincasso stellato all’esterno della cappella della Cintola, ora del tutto persa] è nell’oculo al vertice della facciata di San Francesco, che dovrebbe risalire al sesto decennio. Dentro l’occhio le Stimmate di San Francesco sono modellate in stucco su un’anima in laterizio. La policromia doveva fondere il rilievo e la pittura del fondo, accompagnando il tenue risalto plastico del tetto e del rosoncino, che riproduce la stessa ghiera bicroma dell’oculo! Se non si provvederà urgentemente con un restauro e una protezione i nostri nipoti non vedranno più nulla. Il degrado è avanzato, ma non tanto da impedire di capire che non è un prodotto ’popolaresco’, bensì un capolavoro negletto di Andrea della Robbia, della sua giovinezza, negli anni sessanta. Il modellato dei volti di Francesco e del frate Leone che si para gli occhi ha il suo stupendo equilibrio fra realismo e tipo. Le conifere allineate al fondo rimandano al mondo del Lippi, con una fresca naturalezza che fa pensare alla collaborazione di un pittore come il Maestro della Natività di Castello. Andrea riprenderà più volte sigle analoghe nei suoi fondali invetriati, ma piacerebbe pensare in questo caso, di inedito sperimentalismo anche tecnico, ad una collaborazione fra il plasticatore e un pittore, che ben condenserebbe quel confronto ravvicinato fra le arti sorelle che nel Rinascimento pratese conobbe uno dei suoi banchi di prova più affascinanti".

* Professore ordinario

di Storia dell’arte medioevale all’Università di Firenze