FRANCESCO BOCCHINI
Cronaca

Prato, la cerimonia per ricordare i deportati degli scioperi del 7 marzo 1944

E' stata posta una corona d'alloro in memoria dei deportati pratesi

Un momento della cerimonia

Prato, 7 marzo 2024 - Durante la cerimonia commemorativa per il 79° anniversario degli scioperi del 7 marzo 1944, in cui molti cittadini pratesi furono deportati nei campi di concentramento, è stata posta nella giornata una corona d'alloro alla lapide in piazza Santa Maria delle Carceri da parte del sindaco Matteo Biffoni, del vice prefetto vicario Vincenzo Arancio e del presidente di ANED (Associazione Nazionale Ex Deportati nei Campi Nazisti) sezione di Prato Gabriele Alberti. Presenti per l'occasione la Provincia di Prato, tutti i Comuni dell'area pratese, le associazioni combattentistiche e d'arma, e i vertici di Questura, Carabinieri, Guardia di Finanza e Prefettura. Tra gli ospiti intervenuti ha preso la parola Eva Rizzin, responsabile scientifico dell'Osservatorio nazionale sull'Antiziganismo presso l'Università di Verona.

Sono stati ricordati i 133 pratesi che furono prelevati con la forza nelle strade e nelle fabbriche della nostra città dalle truppe fasciste e naziste, per essere rinchiusi nel Castello dell'Imperatore e poi deportati verso i campi di lavoro di Mauthausen ed Ebensee. I rastrellamenti provocarono l'arresto degli operai che avevano scioperato, ma anche di coloro che con la protesta non avevano niente a che fare, in quanto per i nazisti era una buona occasione per deportare uomini e donne in grado di lavorare a favore dell'industria bellica. La mattina dell'8 marzo il numero totale di catturati era insufficiente, quindi fu necessario recarsi nelle fabbriche e prelevare coloro che nei giorni precedenti si erano astenuti dal lavoro, tra queste il lanificio Lucchesi e la cimatoria Campolmi, oggi sede della biblioteca Lazzerini e del Museo del Tessuto. Solo 18 tra i più giovani dei 133 deportati riuscirono a sopravvivere e a fare ritorno in patria. Tra loro, come ha ricordato Gabriele Alberti, Dorval Vannini, Roberto Castellani e Marcello Martini. Eva Rizzin è intervenuta raccontando la terribile esperienza dei sui parenti Sinti e Rom, anche loro vittime della deportazione fascista e nazista tra il 1943 e 1945. Erano considerati zingari quindi pericolosi e asociali, "quando in realtà erano musicisti, circensi e grandi lavoratori, che hanno dovuto vivere atrocità a causa dell'inferiorità razziale del tempo", ha sottolineato Rizzin. "La memoria è un dovere che noi abbiamo - ha affermato il sindaco Biffoni - non deve essere solo un momento di celebrazione con la deposizione di una corona d'alloro, ma di ricordo, dobbiamo fare lo sforzo di rimettere in fila i valori che sono scaturiti dalla deportazione, per il rispetto del dolore e della morte che ci ha portato ad avere una democrazia e ad essere liberi. La nostra città ha il dovere insieme alla memoria del 7 marzo di ricordare ciò che è successo, per andare oltre e trovare un nuovo inizio, come sono riusciti a fare i 18 sopravvissuti, ne è un esempio il rapporto straordinario di gemellaggio che oggi abbiamo con la città di Ebensee, dove era situato il campo di concentramento e lavoro in cui vennero portati".