
di Giuseppe Centauro*
Narra la leggenda che solo dall’alto di 150 piedi, apotema di un basamento geometrico posto in un recondito santuario della natura, il tintinnio di campane bronzee mosse dal vento fosse in grado di diffondere a grande distanza un’armonia così ammaliante da chiamare a raccolta le genti. Idealizzata dal primo mitico monumento al vento che la storia ricordi, questa fu l’invenzione che nei secoli segnò la via nell’innalzare i campanili a fianco delle basiliche, i minareti delle moschee. Quello che durante il solstizio d’estate – come ricorda Erodoto - riecheggiava nella piana di Dodona con il soffio della tramontana era l’oracolo di Zeus e della Dea Madre, custodi supremi dei luoghi e dei destini dei popoli. Le fabulae Etruscae, raccontante da Plinio il Vecchio, ci dicono anche che la piramide che reggeva quelle campane era così alta che folle era parsa l’idea del suo costruttore. Nessuna utilità, infatti, avrebbero portato quei suoni alla comunità se non la fama al suo artefice pervicacemente convinto che i suoni del vento così amplificati avrebbero risvegliato negli uomini il coraggio di una pace perduta, affievolito da carestie e da guerre fratricide. L’ideatore della torre sonora era dunque un mago che aveva percepito prima degli altri il verbo di una riconciliazione tra gli uomini che l’oracolo sommessamente gli andava sussurrando nel fruscio della brezza tra le spighe e le ginestre dei campi sopra il poggio. Non è un caso che il luogo prescelto dall’artista che negli anni ’90 immaginò un nuovo monumento al vento fosse proprio quel Poggio Castiglioni che, nell’ampia spianata cacuminale protesa come un’unghia sulla piana, segnava il santuario ricercato. Quel genio militante dell’arte era Dani Karavan, il più grande degli artisti contemporanei d’Israele. Un uomo che si è speso per la pace nel mondo, che ha atteso a lungo, oltre trent’anni fino alla morte, di vedere realizzato quell’audace suo sogno per lanciare da Prato il suo speciale messaggio in un luogo da sempre battuto dai venti che ora lo spazzano ora l’acquietano, che, soprattutto nei giorni di tramontana, parla ai pratesi così come l’atavico oracolo sonoro faceva.
Di quel progetto, mai realizzato, rimane oggi il significato profondo di un’intuizione folgorante che ha saputo cogliere l’energia promanata da quell’ambiente trasferendola in una scultura altamente simbolica, modellata con una rigorosa costruzione geometrica sulla scorta di precise annotazioni astronomiche che l’alta torre, quasi fosse lo gnomone di una meridiana, andava a disegnare a terra in un tracciato solare nei mesi tra i due solstizi, d’inverno e d’estate, esprimendo il senso della vita che continua e si rigenera nel tempo oltre la morte.
Quel monumento al vento non è stato innalzato, ma resta inalterata la pregnanza di un luogo di grande valore storico, archeo-antropologico e scientifico per quei primordiali fenomeni carsici che lo contraddistinguono, per la presenza di antichissimi terrazzamenti, muraglie, canalizzazioni e tracciati viari pensili che ne esaltano le speciali peculiarità. Il luogo, oggi mortificato dalla presenza di una selva di antenne, conserva la bellezza arcaica propria dei Monti della Calvana. Ancora oggi il sedime di oltre un ettaro, di proprietà del Comune, dove doveva sorgere la torre, è un sito unico per attrezzarvi una terrazza panoramica sulla piana, la più bella della collina, al vertice di percorsi di grande interesse escursionistico, che s’inerpicano dritti alle pendici del monte. Il recupero di una tale risorsa ambientale potrebbe essere anche il modo migliore per onorare la memoria di Dani Karavan e salvare così il significato profondo del suo progetto quale Omaggio alla Tramontana.
* Docente Università di Firenze